TESTO E FOTO DI

Paolo Del Mela

Laggiù sotto il cielo dei tropici



Appunti di viaggio a Roatan - Honduras

Sono dodici ore di volo da Milano, le ho fatte assumendo innumerevoli posizioni sul seggiolino tentando di dormire ma, tanto so che non ci riesco. Siamo stipati all’inverosimile in un A 310 ed i corridoi laterali sono intasati di gambe di gente che tenta di dormire assumendo le pose più strane, e magari alcuni ci riescono anche. Il mio volo è stato un via vai nel corridoietto di coda dove ho camminato avanti e indietro come un animale da zoo. Adesso mi sono appisolato di nuovo quando l’interfono ci avverte di allacciare le cinture mentre  iniziamo a scendere di quota e qualche lieve turbolenza comincia a farci sobbalzare. Poi due colpi secchi e l’aereo che sbanda letteralmente danno la sveglia a tutti e ci fanno capire che siamo arrivati ai Caraibi. Le gambe che intasavano i corridoi si sono magicamente retratte e, ognuno, legato alla sua  cintura, inizia a guardare fuori dal finestrino, a stiracchiarsi, e a reprimere qualche sbadiglio. Fuori si vede solo il mare, sempre più vicino, poi due colpi di carrello sulla pista ed una frenata potente concludono il volo accompagnato dal solito applauso.

All’uscita del portellone una folata di aria calda e umida mi investe, e un sole accecante mi obbliga ad usare subito il berretto e  gli occhiali da sole. Sbrigate le formalità doganali ci ritroviamo un po’ spaesati e stanchi sul piazzale dell’aeroporto di Roatan con tutti i bagagli. Palme verdissime ci circondano e curiosi honduregni dalle camicie a fiori ci osservano. Dopo circa mezz’ora arrivano due bus alquanto scassati che sono subito presi d’assalto, destinazione Fantasy Island. Dal finestrino del bus inizio a prendere contatto con questa isola lontana, a terra il verde è estremamente rigoglioso e i piccoli agglomerati di case che incontriamo hanno tutte la stessa caratteristica, sono di legno, su palafitte, hanno i panni del bucato stesi su fili sotto la casa, e sono piene di bambini che ci salutano allegramente. I primi scatti fotografici li riservo ad alcuni relitti di navi scheletrite arenate in piccole insenature, forse qualche uragano o tempesta tropicale le ha portate a morire lì. La strada si snoda in una boscaglia fitta, dove è subito evidente che gli alberi più grandi sono stati tagliati senza risparmio, in ogni caso la foresta è estremamente rigogliosa, generosamente innaffiata dalle brevi piogge quotidiane. Poi dopo una curva iniziamo a scendere e attraversato un ponte con guardiola arriviamo al Fantasy Island.

E’ un curioso villaggio costruito su un isolotto con edifici in legno e muratura che si sviluppano sotto una fitta alberatura di palme e di altri alberi in modo da offrire al turista un fresco soggiorno. I vari edifici sono perlopiù su un unico piano e sono circondati da aiuole e prati verdissimi. Le camere sono spaziose e dalle finestre si vede il mare. Esperite le formalità di registrazione alla reception  andiamo subito in camera a smaltire un po’ il jet-lag e dove troviamo un accogliente cesto di frutta.

 È quasi sera e lo stomaco reclama, e poi la curiosità è tanta, ho voglia di vedere la spiaggia, e di respirare un po’ di questa aria caraibica che promette emozioni a non finire. La cena è servita in un grande salone con terrazza abitabile dove chi vuole può cenare all’aperto, infatti i tavoli sul terrazzo sono subito occupati. La temperatura è gradevole e sempre molto umida, la cena valida, con arrosti pollo pesce e tanta verdura. In un angolo scopro perfino una ruola di lasagne!

Dopo cena insieme ad alcuni compagni di viaggio ci andiamo  a sdraiare sui lettini in spiaggia. Il cielo dei caraibi è fantastico, tante stelle così le ricordavo solo quando andavo in montagna da piccolo, si inizia a parlottare e come spesso succede si fa subito amicizia. Un certo Nicolas di Bergamo ci suggerisce di arrivare a vedere i pesci fino al pontile, chissà come lo ha scoperto, e tutti quanti ci alziamo subito. Il pontile ha un faro puntato nell’acqua e appena ci affacciamo restiamo affascinati dal brulichio di pesci dai mille colori che guizzano in un’acqua che sembra cristallo. Ce ne sono alcuni, che assomigliano alle nostre spigole e che saranno almeno 3Kg, vagano avanti e indietro con costanza; accanto ci sono due canadesi che indicandoli esclamano “thorpen”, probabilmente si chiamano così. Qualcuno rimpiange la canna da pesca e favoleggia gustose grigliate sulla spiaggia ma forse è meglio di no, dove ci sono le canne da pesca simili spettacoli non si possono ammirare. E’ tardi, e  siamo ancora stanchi del viaggio, ci ritiriamo in camera pregustando il primo bagno per il mattino successivo.

Secondo giorno. Al mattino mentre faccio colazione in terrazza, ho la fugace visione di un velocissimo insetto  che guizza via come una libellula. Imparo da quelli del tavolo accanto che è un colibrì che ha fatto il nido su una frasca, che pende sotto la terrazza, al riparo dalla pioggia. Arriva e riparte velocissimo indifferente a tutto quel popolo di vacanzieri che gli sta sotto, e per osservarlo occorre attendere l’attimo di “hovering” che utilizza per prendere la mira ed entrare nel suo minuscolo nido. E’ un esserino simpatico e coloratissimo, che starebbe comodamente in un cucchiaino da caffè.

La spiaggia di Fantasy Island è magnifica, si snoda come un piccolo golfo con le palme che arrivano vicine alla battigia, ai lati due piccoli rilievi erbosi  e dal mare la barriera corallina che protegge la striscia sabbiosa. La laguna che ci si prospetta davanti è calmissima, ha acqua limpida ed io noto subito un piccolo barracuda che se ne sta vicinissimo alla riva, chissà forse lo fa per cacciare i piccoli pesci o forse sta li per non essere cacciato. Sarà una presenza costante per tutta la vacanza, quasi un amico.

 Il sole dei caraibi è implacabile ed occorre proteggersi con creme ad alta gradazione, poi c’è un’altra insidia, i moschitos. Sono piccoli insetti simili a zanzare che ti arrivano addosso all’improvviso e ti riducono la pelle come quella di un leopardo. Unica difesa ungersi abbondantemente con l’olio per bambini. L’acqua mi aspetta, mi tuffo, finalmente. Dopo un po’ prendo la maschera per esplorare il fondale che è prima sabbioso, poi un’alga verde smorto occupa il fondo della laguna, ci sono protuberanze che sembrano sassi, ne sollevo uno e mi accorgo che è una grossa conchiglia che ospita il suo mollusco e che dentro la fessura è di un acceso colore rosa fucsia. La laguna ne è letteralmente  piena. Mi dirigo in direzione della barriera ed improvvisamente scorgo immobile un barracuda lungo almeno un metro e mezzo, è bellissimo, maledico di essermi dimenticato a riva la macchina fotografica, in ogni caso decido di andare a vederlo da vicino. I pesci dei caraibi non sono come quelli di casa nostra, non scappano, e sono molto aggressivi, infatti appena mi avvicino l’amico si volta dalla mia parte e sembra si prepari ad attaccare. Ha una fila di denti temibile e non vorrei essere masticato il primo giorno, quindi con una lenta giravolta saluto l’esocide e torno a riva. Il suo compagno più piccolo è sempre li vicino alla battigia, forse è più saggio stare li. Mentre mi godo il sole sul lettino  arriva il nostro accompagnatore e ci comunica che per il primo pomeriggio è previsto uno sknorkeling sulla barriera corallina; bene, si comincia subito.

Ci imbarcano in un cabinato, siamo una decina di persone, armati di maschera e di macchina fotografica  subacquea usa e getta. Dopo un largo giro il pilota trova un varco nella barriera e ci porta al di fuori, dove l’acqua si fa improvvisamente più profonda. Appena ancorato tutti si tuffano subito. A me viene un sospetto, siamo in zona squali se per caso ne arriva uno cosa facciamo? Mentre gli altri sono già in acqua, cerco di parlare con il pilota: Mister!  There are shark?

Quello mi guarda un po’ inebetito, capisco che non sa l’inglese, ed io non conosco lo spagnolo quindi passo alla mimica.  Dopo una scenetta un po’ comica realizza e, a gesti, mi fa capire che non ci sono squali. Poco rassicurato mi guardo intorno, ma  poi penso che gli altri sono già in acqua, vuoi che sia così sfortunato? Mi tuffo anch’io e lo spettacolo che vedo è semplicemente fantastico.

Coralli gorgonie e nuvole di pesci coloratissimi brulicano sulla barriera, scatto qualche foto di questi giardini subacquei , poi provo a fare una capriola e ad immergermi per sfiorare il fondale. Senza piombi è un po’ difficile, ma ci riesco ugualmente. Da una fessura sotto un corallo esce una murena gialla con i puntini neri , bellissima, mi viene incontro, non faccio in tempo a fotografarla, meglio risalire, anche questa ha due canini niente male. Poi trovo un piccolo pesce palla che è desideroso di farsi riprendere, veramente simpatico. Aggancio per ultimo la scaletta del natante ed esco dall’acqua soddisfatto, ho visto la barriera e sono riuscito ad evitare gli squali, come primo giorno può bastare.

A sera sulla terrazza dove ceniamo faccio conoscenza con alcuni milanesi che sono venuti apposta per effettuare immersioni subacquee ARA ed apprendo che l’isola di Roatan è il paradiso per queste attività. C’è la possibilità di visitare relitti sommersi, oppure di recarsi a fornire cibo a cernie e pesci pappagallo. Poi inevitabilmente il discorso torna sugli squali, ed allora mi invitano a vedere alcuni filmati che hanno registrato pochi giorni fa. Li ho visti quei filmati, su un fondale di circa dieci metri c’erano loro che appoggiati ad una roccia erano circondati da squali grigi veramente enormi, nuotavano avanti e indietro senza apparente nervosismo, poi l’apparizione di una cernia gigante mi ha fatto capire che squali ed altri pesci stavano li perché giornalmente qualcuno gli forniva il cibo. Infatti poco dopo è arrivato uno con un secchio, che appena aperto ha fatto succedere il finimondo sott’acqua. Squali turistici insomma.

Terzo giorno. Si parte per OAK RIDGE un pittoresco villaggio di pescatori dove visiteremo i rifugi segreti dei pirati. La solita corriera  si riempie e poi inizia ad arrancare su per una salita ripida che la porterà sull’unica strada che congiunge gli estremi dell’isola. Roatan è una  isola montuosa lunga circa cinquanta chilometri e larga al massimo tre, dalla strada che la attraversa tutta si possono ammirare le baie e le spiagge di ambedue i lati della costa. Arriviamo in una baia presso un villaggio poverissimo, le case sono tutte su palafitta e la strada che arriva al porticciolo è un mare di fango, tanto che l’ultimo pezzo lo dobbiamo fare a piedi. Intorno qualche vecchio e tanti bambini che ci osservano incuriositi per l’inaspettata visita. Ci attendono due piroghe che avranno tutt’al più l’età dei pirati, sono di legno grigio e il supporto per il motore fuoribordo è fissato artigianalmente con delle ferle arrugginite. Ci guardiamo un po’ dubbiosi, ma poi la voglia di avventura prevale e … sarà quel che sarà . Ci conducono fuori dalla baia, intorno ci sono fitte macchie di mangrovie e ogni tanto una casetta isolata con i panni stesi ci fa comprendere quanto sia dura la vita da queste parti, e forse quanto sia ancor più duro affacciarsi alla finestra e vedere gruppi di benestanti turisti che se la spassano sotto casa.

Mentre avanziamo ci si apre all’improvviso un canale tra le mangrovie, è largo abbastanza per farci transitare una piccola nave, lo percorriamo tutto e alla fine un’ ampia laguna circondata da una vegetazione lussureggiante ci accoglie. La guida ci spiega che questo era il rifugio segreto del pirata Morgan. In effetti la laguna è nascosta dalla vegetazione, e anche se non era Morgan, qualche pirata ci si è rifugiato sicuramente. Un gruppo di uccelli bianchi come gli aironi si è appena posato sugli alberi, e il posto è intrigante. Al ritorno lasciamo una generosa mancia raccolta con una colletta, ed il sorriso del barcaiolo è il saluto più bello che potessimo ricevere.

A sera si fa baldoria dopo cena, c’è una grande capanna di legno che può ospitare una cinquantina di persone, c’è il karaoke, musica e una bottiglia di rhum inizia a girare tra i tavoli, qualcuno balla, altri parlottano amabilmente. Io mi respiro l’aria fresca della sera sorseggiando un succo di ananas in compagnia di alcune simpatiche amiche del gruppo. Unica emozione un pipistrellone nero che svolazza sotto la capanna, raccoglie qualche grido e poi se ne va.

Quarto giorno. Esco dalla camera per recarmi a fare colazione e scorgo nel prato un animaletto che sembra un piccolo Wallaby, con la pelliccia e il muso da topo. Girano in mezzo ai turisti senza però farsi avvicinare.  Mi ricordo di avere ancora qualche chicco d’uva in camera , vado a prenderlo e glie lo tiro. Si avvicina, lo prende delicatamente con le zampette anteriori, si mette a sedere e se lo gusta. Sono le Watuse, pacifici animaletti dei quali non avevo mai sentito parlare. Un’altra specie che prima o poi incontri al Fantasy Island sono le iguane, veri e propri draghi coloratissimi e con una criniera simile ad alcuni animali preistorici. Si aggirano liberi tra la gente, ma non sono molto socievoli, ce ne sono alcuni lunghi più di un metro e la loro preferenza è quella di stare al sole. Per farlo li vedi arrampicarsi su per le grondaie fino a salire sui tetti per godersi l’abbronzatura. In ogni caso, a sera , Watuse e Iguane sono davanti alle cucine del ristorante a reclamare il meritato cibo per essere state tutto il giorno a farsi fotografare dai turisti.

Questa giornata ce la lasciano libera e dopo un po’ di abbronzatura mattiniera mi guardo in giro per vedere il da farsi. Ci sono dei kayak a disposizione e ne approfitto subito per fare il giro dell’isolotto. Voglio scoprire se c’è fauna da fotografare alla fine di una laguna dove il giorno prima avevo visto alcuni uccelli bianchi che si posavano sulle mangrovie. Mi avvicino ad una macchia folta e mi accorgo che c’è un canale che la attraversa, mi inoltro sotto la vegetazione e con la coda dell’occhio scorgo grandi zampe pelose sulla ramaglia. Un brivido mi corre lungo la schiena, se sono ragni tropicali resterò paralizzato, poi giratomi lentamente scopro che i rami delle mangrovie sono letteralmente invasi dai granchi che così forse trovano il cibo mangiando insetti. Le zampe pelose erano le loro, in ogni caso con due colpi di pagaia esco velocemente dal tunnel.

Il primo pomeriggio piove, un breve acquazzone e poi di nuovo il sole.

 

A pomeriggio inoltrato una bella partita di beach volley maschi contro femmine e poi un collettivo bagno rinfrescante trascinati su un salsiccione pneumatico dal motoscafo del villaggio; questa si che è vita.

Quinto giorno. Si parte per Bayley’s Key dove ci aspettano i delfini. Altro arrembaggio alla solita corriera scalcinata e poi via per la” carretera principal” , la strada della foresta che è l’arteria principale dell’isola. Ogni tanto attraversiamo piccoli villaggi , sempre pieni di bambini allegri e con le case su palafitta che hanno il tetto di lamiera ondulata. Con il sole inesorabile dei tropici mi sono chiesto come riescono a coibentare il sottotetto per evitare che l’abitazione diventi un forno. Forse usano paglia o altre sterpaglie, o forse sono abituati al caldo. Arriviamo a Bayley’s Key che sta dall’altra parte dell’isola. Una baia lussureggiante con acqua verdissima. Ci imbarchiamo su alcune lance che ci trasferiscono su un isolotto. Ci accolgono due ragazzi in muta da sub e ci fanno un breve briefing sulla loro attività di addestratori di delfini, poi con un fischio inizia lo spettacolo. Senza che nessuno sospettasse niente un grosso delfino esce in velocità dall’acqua e con un grande splash ci fa fare la doccia, è il saluto di benvenuto. Mentre ci sgoccioliamo sorpresi iniziano una serie di acrobazie e di tuffi che ci fanno ammirare la grazia, la potenza e l’intelligenza di questi animali. Come cagnolini vengono a riva e l’istruttore gli lancia un pesce come ricompensa. Arriva il momento delle foto e tutti vogliono posare con il delfino che ti stampa un bacio sulla guancia, infine chi se la sente può fare il bagno insieme a questi magnifici bestioni. Sono dei giocherelloni e se li incuriosisci si divertono moltissimo a fare insieme capriole sott’acqua. Mi ci sono divertito per circa un’ora, è un’esperienza unica!

Sesto giorno. Oggi si parte per la capitale, Coxen Hole  ci tocca un assaggio di vita honduregna.

La città è una grande baraccopoli di case in legno con i tetti di lamiera, i pali dell’elettrificazione accolgono grovigli di fili che sembrano nodi gordiani, ci sono fogne a cielo aperto ai lati della strada e l’unico pezzo di strada asfaltata (circa 50 mt.) si trova davanti al palazzo principale della municipalidad. Le strade sono affollate di gente, e sono piene di pozzanghere, i negozi sono baracche sistemate alla meglio, ma la gente per strada è allegra, socievole, ti sorridono quando li incontri, insomma ti mettono allegria. Per il resto non c’è molto da vedere, solo curiosità e souvenir “cinesi”. In un negozio di elettrodomestici scopro una serie di cucine economiche messe in bella mostra e penso che da noi nessuno le compera più. Passa per strada un uomo con la immancabile camicia a fiori e con in testa un grande cappello di paglia, è seguito da una torma di cani che lo accompagnano docilmente fino ad un pick-up, si ferma e ad uno ad uno li prende in braccio e li carica sul retro. Penso che li abbia portati a passeggio per la città, e loro sono felici perché scodinzolano e abbaiano festosamente. Mi viene in mente una frase di P. Coelho  “Scegli di avvicinarti a quelli che cantano, raccontano storie ed hanno la gioia negli occhi, perché la gioia è contagiosa…”

Lasciamo il popolo delle isole e torniamo al nostro villaggio dove ciascuno potrà trascorrere il pomeriggio come gli pare.

A sera grande festa sulla spiaggia, hanno acceso un grande falò e il nostro accompagnatore si esibisce in un numero di sputafuoco con effetti scenici fantastici, poi un gruppo familiare di honduregni si esibisce in una danza locale. Sono i Garifuna una popolazione autoctona molto povera che discende dai primi abitanti delle isole e che ne conserva ancora usi e costumi.  Con vestiti coloratissimi intonano una cantilena da antichi Maya, poi iniziano a danzare in cerchio e in mezzo a loro ballano anche dei bimbi molto piccoli. Sono commoventi e a fine spettacolo riescono a racimolare una cospicua mancia che li aiuterà a vivere fino al prossimo turno di vacanzieri. Il fuoco sulla sabbia è ridotto oramai ad un mucchio di brace, quasi tutti se ne vanno a letto, io invece resto ancora un poco a godermi i profumi della notte, il rumore della risacca e a guardare una luna bianchissima che disegna un fascio di luce pallida sulle placide acque di un mare che da domani sarà solo un ricordo.

Settimo giorno-I motori del jet sono al massimo, una energica spinta mi schiaccia sul sedile, mi volto indietro e l’isola che mi ha cullato per una settimana diventa sempre più piccola fino a sembrare un puntino nel mare sconfinato. E’ la fine della vacanza, sempre un po’ mesta, ma giuro che appena posso!

 

 


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aprile 2024

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