TESTO DI

Paolo Del Mela

“Stuvan de passador”



Stefano Pelloni. Il Passatore. Intanto, perché ”il Passatore”?

Un traghetto si trascinava lento da una parte all’altra del fiume Lamone. Siamo in Romagna. La monotonia di un mestiere, la sua ripetitività prevedibile e certa ogni giorno della settimana lasciava  ampio spazio alla mente e al bisogno di pensare. Lo sguardo spaziava intorno, in fondo il passaggio si poteva fare ad occhi chiusi, ed incontrava solo alberi, campi e tanta miseria.  Tanta fame. E al vigoroso Stefano che non traghettava anime come Caron dimonio, ma corpi svogliati dal caldo, rimandava l’immagine di un futuro, se mai ci fosse stato, da reinventare.

 E questa Romagna dell’ottocento un po’ rubizza, sanguigna e passionale, ma anche solare come le sue messi e le interminabili vigne che contribuivano a scaldarle il cuore, ospitò una primula rossa nostrana, capace di sfuggire alla caccia all’ultimo sangue dei gendarmi, brigante indomito e indomabile che sfidava città, borghi, contrade, logorato da una febbre interiore di vendetta e di rivalsa, di ribellione e di libertà, leggenda per il popolo quasi sempre oppresso, in secolare soggezione, unica possibilità di ribellione e di riscatto. Irrideva  le milizie austriache e  pontificie.  Le sue scorribande, in un delirio di potenza, lo spinsero a superare se stesso.

E dove finisce la storia non scritta ma raccontata sottovoce, la schiena china sui campi a spezzare  le spighe orgogliose, inizia la leggenda del famigerato brigante di Boncellino di Bagnacavallo che,  intorno alla metà del XIX secolo,  sotto il debole governo pontificio, compì le sue gesta a capo di una banda ben agguerrita. Evaso dal carcere dove era stato rinchiuso non ancora ventenne, compì rapine e delitti di ogni genere. Ma gli si attribuirono “cortesie” come quelle di spogliare i ricchi ed essere generoso con i poveri; insomma una sorta di eroe galante e protettore dei deboli.

 Ma in una fredda sera di fine Gennaio 1851 , Stefano “Stuvan  de Passador” e la sua banda di briganti fecero irruzione  nel teatro di Forlimpopoli, durante l’intervallo, salirono sul palcoscenico e , aperto il sipario, puntarono i fucili contro il pubblico a dir poco terrorizzato. Il passatore , con occhi fiammeggianti chiamò per nome gli uomini più ricchi presenti in sala che vennero ripuliti meticolosamente. Ad alcune donne non furono risparmiati approcci molto violenti. Ma non finì lì. Perché destino vuole che un altrettanto famoso Romagnolo, Pellegrino Artusi, abbia intrecciato  il suo cammino con l’altrettanto famoso Passatore.

E quella stessa sera il brigante e la sua banda si introdussero nella casa dell’Artusi  e denaro e gioielli sparirono come per incanto nelle bisacce del Passatore. La diafana Gertrude, sorella  di Pellegrino, paralizzata dalla paura e dalle minacce dei briganti, impazzì  e fu rinchiusa in manicomio. Voci maligne però sussurravano che dietro  quell’improvvisa pazzia ci fosse stato ben altro. Il gagliardo Stefano , abituato  a rapporti un po’ pecorecci, non si accontentò solo di razziare gioielli e denaro... rimane il dubbio  che la pazzia di Gertrude sia stata causata da quella visitazione inattesa o dal fatto che, dopo quella notte, il poderoso Passatore sia sparito nel nulla.

“Chiudete le porte e le finestre ! Sta arrivando il Passatore!” E porte e finestre venivano sbarrate. Ma forse qualche “sdòra” avrebbe volentieri lasciato un’ imposta socchiusa. Pensando a lui , a quel brigante, si sentivano i capezzoli duri. Poi , guardando i loro uomini, ingobbiti dal lavoro dei campi, piegati in due davanti al camino, insonnoliti e stanchi , buttavano indietro la testa, scacciavano quella illusione e stringendosi le mani sul grembo, si avviavano su per le scale di sasso verso una stanza da letto misera ma dignitosa, piena dei respiri leggeri come farfalle dei loro figlioli , che si stringevano l’un l’altro per non sentire il freddo, ma soprattutto per addormentarsi in fretta e non avvertire i morsi della fame.

Poi , come in ogni storia che si rispetti, c’è sempre l’intervento di qualcuno, spesso casuale, che ne cambia il decorso e il finale. E in questa ragnatela di coincidenze, diverse sono le scuole di pensiero sulle cause della morte del Passatore. Chi vuole che un certo Brusòn, poveraccio come la maggior parte dei suoi simili, dopo aver visto, in un fresco mattino di Marzo, un certo movimento intorno ad un casotto di caccia nei pressi di Russi, convinto si trattasse di banditi, abbia dato l’allarme ai gendarmi. Chi invece raccontò che uno dei suoi uomini, desideroso di incassare la pingue taglia messa sulla testa del Passatore, l’abbia tradito e denunciato ai gendarmi.

Nell’uno e nell’altro caso ci fu lo scontro a fuoco, uno scambio vivace di schioppettate che fece alzare in volo alcune folaghe, e anche il passatore, con due colpi nel petto, volò verso la leggenda. Venne legittimata la sua figura e il dibattito sulla sua vita è ancora molto vivo. E la sua popolarità ha fatto si che l’immagine del Passatore sia stata scelta dall’Ente Tutela dei Vini Romagnoli come marchio. E piace pensare che questa sagoma scura, rappresentata da un largo cappello nero e un lungo mantello da cui spunta la canna di un fucile, stia lì a difendere e a proteggere tutto il gusto e il piacere di un calice di quello buono. E che dire della competizione podistica , la 100 Km. del Passatore, veramente da non perdere, che si snoda con partenza da Firenze  e arrivo a Faenza, richiamando atleti e fans anche dall’estero. E Zvanì ? …  Romagna solatia, dolce paese, cui regnarono Guidi e Malatesta, cui tenne pure il Passator cortese, re della strada, re della foresta…. (G. Pascoli, per chi l’avesse dimenticato!).

 

 


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