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Mirella Golinelli

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"Voci bianche" loro malgrado



I dolori e i successi degli uomini mutilati per il teatro

Già 3000 anni prima di Cristo veniva praticata l'evirazione. Ad inventare quest'azione brutale, furono i cinesi. Segretamente il compito veniva affidato a chiunque maneggiasse un coltello; vedi barbieri e macellai. La clandestinità del gesto portava alla morte dei 2/3 di quei poveretti che, per volontà altrui, vi venivano sottoposti. Emorragie ed infezioni erano all'ordine del giorno e, quei pochi che sopravvivevano, potevano portare con sé i propri testicoli, conservandoli in una scatola che sarebbe stata seppellita con l'evirato per concedergli, almeno in un'altra vita, di diventare uomo. Esisteva un'evirazione “bianca”, nella quale si asportavano i testicoli ed un'evirazione “nera”, nella quale all'“eviratus” si amputava anche il pene. Questi ultimi, al mercato degli schiavi erano molto quotati. Il loro prezzo poteva salire di oltre 200 volte rispetto a quello d'un normale schiavo.

Di solito la castrazione era praticata da estranei ma, i seguaci della Dea nominata dai romani Cibele, richiedevano ai loro sacerdoti l'evirazione completa che doveva essere eseguita dagli stessi ai quali appartenevano pene e testicoli. I sacerdoti quindi, il 24 marzo di ogni anno, durante un bagordo in onore della divinità, con un coltello di pietra, si amputavano la parte esuberante; ciò li rendeva apprezzabili perchè la pelle diventava completamente liscia. Ma cosa succede nel corpo maschile se l'asportazione viene eseguita prima della pubertà? Tutto rimane in forma ridotta, la voce invece, essendo un carattere secondario, diventa più acuta sino ad assumere l'altezza (con il timbro e l'intensità rappresentano le qualità fisiche fondamentali che definiscono un suono) di quella femminile. Non interessano in questa sede i pettegolezzi di talamo, attribuiti ai “castrati”, ma verranno solo onorati per il “sacrificium” imposto, in onore dell'arte vocale. Perché, quindi, i castrati furono così apprezzati? Sino a tutto il XIX° secolo, delle migliaia di bambini che subirono l'evirazione, anche totale, ben pochi furono quelli che scrissero la storia. Comunque la loro prerogativa consisteva nel fatto che si otteneva una voce aggraziata come solo quella di una donna può essere, ma l'aria che serviva per far vibrare le 4 corde vocali (2 vere e 2 false; quest'ultime vibrano per simpatia), veniva incamerata in una gabbia toracica molto più capiente perchè maschile e perciò in grado di tenere le note più a lungo.

I castrati potevano avere la stessa estensione di un “soprano”, cioè 3 ottave, da DO2 a DO5. L'utilizzazione della “voce bianca” avvenne anche nei cori. L'ultimo castrato cantò nel Coro della Cappella Sistina sino al 1922. Egli era Alessandro Moreschi e la sua voce venne registrata, come quella dell'ultimo eunuco della corte cinese imperiale, morto nel 1996. Inoltre una setta di matrice russa li utilizzò sino al 1910, data che ne determinò l'estinzione. E' Papa Sisto V, nel 1588, ad impedire alle donne di cantare e di danzare in teatro; sostituendole -   poiché a dire del bolognese cardinale Ranuzzi, degradavano i costumi -  con ragazzi che, per mantenere la “voce bianca”, venivano sottoposti, sempre contro la loro volontà, all'asportazione degli attributi.

A questi infelici, per i quali la sorte della “castrazione” era decisa dai prelati, veniva vietato il matrimonio, come del resto agli sterili. Questa pratica rimase in uso fino al 1977, quando Papa Paolo VI, l'abrogò. L'uomo, comunque ridicolizzato, era oggetto di scherno poiché si esibiva sia come cantante che come ballerina, con vesti succinte ed il viso truccato. Lo stesso Casanova rischiò d'incapricciarsi d'uno di questi ma, con uno sguardo attento, si accorse che era una vera donna. In quest'epoca, molti “castrati”, vennero uccisi per mano di mariti gelosi. Tra questi si ricordano Loreto Vettori ed il più famoso sopranista del '600, ucciso a Ferrara a soli 44 anni, nel 1697, Giovanni Francesco Grossi, detto Siface, dal ruolo che interpretò. I più fortunati tra questi riuscirono a scappare in terra veneziana.

Carlo Broschi – detto Farinelli o Farinello (come lo appellava Vivaldi, il quale gli dedicò un paio di titoli), nasce ad Andria il 24 gennaio 1705 e muore a Bologna il 16 settembre 1782. Il suo corpo sepolto nella Certosa del capoluogo emiliano, è stato esumato nel 2006, per studiarne, attraverso la fisiognomica ed il corredo genetico, le qualità; anche se sarebbero bastate le indicazioni di Johann Joachim Quantz, musicista e trattatista che lo aveva ascoltato a Napoli, nei primissimi anni del secondo decennio del 700. E' da ricordare un suo grande successo del 1724 che lo coronò “il più famoso castrato”: quello che ottenne esibendosi alle nozze di Enrichetta Maria d'Este con il Duca Antonio Farnese. Fu Barbara Farnese, moglie del re Filippo V di Spagna ad invitare Farinelli ad esibirsi presso la corte iberica. Broschi divenne ospite stabile ed ogni sera si esibiva per i componenti della corte, nel solito reperorio. Le prime arie che venivano predilette dagli uditori erano: “Pallido il Sole” e “Per questo dolce amplesso”, tratte entrambe dall'opera Artaserse di Adolf Hasse (1699-1783), conosciuto come il “caro sassone”, su versi di Pietro Metastasio. Egli visse contemporaneamente, al più grande soprano del '700, Lucrezia Aguiari, nata a Ferrara nel 1743 e morta a Parma nel 1783 ed insieme ebbero un percorso artistico del tutto simile; quello di Farinelli, in maniera completa ed avvincente è narrato in lingua inglese ed è stato prodotto dall'Università di Glasgow. Esso titola: “Il novello Orfeo – Farinelli: Vocal profile, aesthetics, rethoric-2014”. In questo tomo, si trovano molti riferimenti a testi stampati a Bologna, alla raccolta di Franz Haboech, contenente molte delle arie di repertorio eseguite dal Broschi e dai demascolinizzati cantori, ma anche le riduzioni a rigo delle parti per sola voce. Fu il fratello Riccardo, più vecchio, a deciderne la castrazione, nel 1717. Carlo Broschi, amò da sempre, Bologna, tant'è che già all'età di 27 anni, comprò una tenuta, sulla quale fece edificare una villa, all'altezza oggi, del civico 30 di via Zanardi, un tempo, via Lame 228 che divenne, con la casa di via Santa Margherita, un ritrovo, di artisti, dal 1761, anno in cui diede l'addio alle scene. In questa enorme dimora, vennero ospitati anche Giuseppe II° d'Austria e Wolfgang Amadeus Mozart. La sua abitazione fu definitivamente abbattuta nel 1949, dopo aver subito oltre al degrado, varie vicissitudini, tra cui esser stata sede di uffici d'uno zuccherificio. L'archivio di Stato e la biblioteca universitaria conservano la corrispondenza. Della sua collezione di strumenti ed opere d'arte, non si sa nulla; probabilmente è andata dispersa.

 

 


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