TESTO E FOTO DI

Carlo Maria Milazzo

Barcellona, il ballo pazzo dell'angelo Michele



 

 

Vorrei solo credere in un dio che sappia ballare (Friedrich Nietzsche)

 

Appare alle 5 della sera quando, secondo Federico Garcia Lorca, solo il toro ha il cuore in alto. Appare tutte le sere, alle 5 in punto. Appare nel giardino dell'Hospital de la Santa Creu, piantato ad aranci e con una croce barocca al centro. Lei appare, guance a picco macchiate di ciliegia e zigomi spigolosi. Lei appare, notte mediterranea negli occhi, trucco scuro, rossetto color inferno. Lei appare, mento in asse con le labbra, naso diritto con le narici dilatate affamate d'aria, capelli corvini raccolti sulla nuca in uno chignon trafitto dal breve gambo di una rosa amaranto. Lei appare,  orecchini pendenti a mandare lampi d'argento, neo piccolo sopra le labbra, una lacrima disegnata con matita viola appesa all'angolo esterno dell'occhio sinistro.

Lei appare alle 5 della sera quando, secondo Garcia Lorca, il torero suda neve. Lei appare in un top rosso che s'incendia tra le frange di uno scialle carbone. Gonna lunga, morbida, negra, rigata da segmenti cremisi. Stivaletti a tacco 5, sghembo.

Alle 5 della sera quando, per Garcia Lorca, l'arena si cosparge di iodio, Lei si ferma nel cortile dell'Hospital. Respira l'anima policroma di Antoni Gaudì, morto nel nosocomio nel 1926, con ferite da tram tracotante.

Poi Lei entra nel Mercat de la Boqueria, vecchia piazza porticata sotto vasta tettoia. Al banco 801 un cerchio di tonni e ostriche impedisce la fuga a granchi/scampi/ricci semoventi. Al banco 703 la la pelle dei polli è giallo cadmio. Al banco 431 la carne è di un rosso pompeiano. Al banco 867  i funghi hanno cappelle così grandi che sotto ci potrebbero stare le famiglie numerose di gnomi meridionali. Alla vista di Lei gli avventori/i pescivendoli con i grembiuli merlettati/i fruttivendoli che tagliuzzano frutti per macedonie/i turisti di ogni etnia/i borseggiatori si bloccano come colpiti da incantesimo. Lei ruba una pera, le dà un morso e la butta alle spalle. Quando esce sulla Rambla de Sant Josep, gente accalcata in attesa leva al cielo grida festose.

 

Alcuni dicono che Lei abiti nel Raval, nei vicoli non ancora bonificati dove il sole è troppo grasso per infilarsi, dove slarghi triangolari offrono panchine a vecchi e gatti, dove Jean Genet nel 1932 viene a innamorarsi di marinai che cantano alle finestre mentre si pettinano.

Alcuni dicono che Lei sia una gitana, abbandonata nel quartiere di Somorrostro in una culla legata sulla sella di  un cavallo pezzato.

Alcuni dicono che Lei si chiami Carmen, ma se urli “Carmen!” al suo passaggio, Lei non si volta.

 

I passeri che affollano i platani della Rambla cinguettano più forte. Le campane di Santa Maria del Pi mandano un suono caldo. Un vento profumato di bergamotto solleva le pagine delle riviste nelle edicole e fa cadere un vaso di gigli nel chiosco del fioraio. Il pavimento dipinto da Mirò si ravviva.

Due argini di spettatori bordano la Rambla. Lei percorre il corridoio impettita come un capo di stato.

 

Carmen asseconda l'ansa appena accennata della strada, che ne ricorda la matrice fluviale. Poi sconfina nella Rambla dels Caputxins, inaugurata dal seicentesco Hotel Oriente. I clienti della cafeteria del Gran Teatre lasciano gli aperitivi per sporgersi dalla soglia. Le quaglie e i galli in vendita saltellano nelle gabbie. La statua di Cristoforo Colombo, che a fine Ramblas guarda il mare, si volta di 180 gradi.

Carmen prende a sinistra carrer Colom e sfocia in Plaça Reial, pianta quadrata/portici profondi/ edifici neoclassici giallo pastello. Le palme rigogliose sussurrano un dialetto arabo. I lampioni a sei lampade di Gaudì si accendono di luce arancione.

Poi Lei si infila nel dedalo di viuzze del Barri Gòtic, appiccicose e bigie. Balconi timidissimi con ringhiere quasi attaccate ai muri. Fast food italiani/turchi/indiani. Negozietti con magliette di Lionel Messi e modellini della Sagrada Familia. Una polverosa libreria con vetrina accaparrata da Manuel Vàsquez Montalbàn. Un'altra vetrina con panini imbottiti di jamon serrano, il prosciutto di montagna. Carlos Luis Zafòn definisce il Barri il labirinto degli spiriti, dove i folletti del tempo camminano alle spalle.

 

Alle cinque e poco più della sera, la piazzetta George Orwell, che nel 1937 ospita lo scrittore britannico, è gremita all'inverosimile. La moltitudine non è lì per i ristorantini di tapas o per la boutique di moda urbana. Le persone ammassate sono lì per cercare di varcare l'ingresso del bar d'angolo, l'Escudellers. E' implicito che nemmeno un decimo dei presenti godrà dell'accesso.

Regina Guarnieri, cinquantenne dai capelli neri quanto uno schermo spento, è seduta in cima a un seggiolone: lascia entrare all'Escudellers solo chi è in possesso di un biglietto con prenotazione. Carmen spunta nella piazzetta e la folla le si apre davanti come l'acqua innanzi a una prua. Dopo un bacio in fronte a Regina, Lei penetra nel bar.

 

All'Escudellers si balla il flamenco. Nessuno può ballare male il flamenco. Chi arriva a ballarlo viene posseduto da una forza interpretativa che sublima ogni passaggio, anche i meno orecchiabili. Chi balla il flamenco viene scucchiaiato della propria anima, sostituita all'istante dal Duende, il demone della bellezza folle. Garcia Lorca afferma che “il Duende è il suono oscuro del mistero, la radice che affonda nel limo che tutti conosciamo, che tutti ignoriamo, ma da dove proviene ciò che è sostanziale all'arte”. Il Duende è un potere, non un agire. Il Duende è la lotta, non il pensare. Il Duende non sta nelle ginocchia, nella pancia, nella gola. Il Duende sale dalla pianta dei piedi, aggrappato con unghie di fuoco al sangue, e demolisce le geometrie del concetto. Il Duende rapisce la coscienza del ballerino o della ballerina, e li prilla in una magia contagiosa che porta alla perdita di coscienza anche lo spettatore.

Carmen balla il flamenco. E Carmen espropria della responsabilità chi la guarda ballare. E Carmen conduce al succulento delirio onirico chi la segue danzare. Molti dicono che non sia il Duende ad abitare Carmen. Molti dicono che Carmen sia il Duende stesso. E a Barcellona tutti, cittadini e stranieri momentaneamente accasati, vogliono ammirare Carmen.

 

L'Angelo Michele alloggia nel Monastir de Pedralbes, villaggio monastico: il borgo/la chiesa del 1300/il chiostro a tre ordini di gallerie su colonnine. Il Monastir, appoggiato sulla collina che sorveglia la metropoli, è gestito dai Frati Servi della Gloria Mariana. Anche al Monastir è giunta l'eco del successo di Carmen e diversi pellegrini, dopo aver pregato, si fermano dal priore, padre Heriberto, a raccontargli, entusiasti, di quella volta che hanno visto Carmen all'Escudellers.

Essendo il Duende classificato come demone, l'Angelo Michele decide di andare a verificare l'esibizione di Carmen, per valutare se occorra adottare qualche contromisura verso invasamenti diabolici.

L'Angelo Michele ha capelli biondi e mossi indirizzati in coda di cavallo, occhi nocciola concentrati su qualcosa di Altissimo, gote appena incavate, labbra esangui, una lacrima d'ambra disegnata con la matita all'angolo esterno dell'occhio destro.

Un pomeriggio di un ottobre mite l'Angelo Michele si cammuffa. Infila un'ampia camicia bianca che gli comprime le ali contro la schiena. Indossa pantaloni grigi e un'abbondante giacca della stessa tinta. Scarpe nere lucide, lavorate con ghirigori. Un borsalino fumé gli occulta parte della chioma.

L'Angelo Michele prende un bus fino a Plaça d'Espanya e scende di fronte all'arena delle corride. Poi la metro L3 e fermata Liceu. La scala mobile lo scodella sulla frequentatissima Rambla.

Alle cinque della sera quando, secondo Garcia Lorca, l'ossido semina cristallo e nichel, l'Angelo Michele è da Regina Guarnieri, che lo ammette all'Escudellers.

 

Il bar comincia con una saletta: pareti color oro vecchio/poca luce/a destra il banco lungo solo due metri/a sinistra un divano di velluto bordò. Dopo un paravento marrone si schierano dodici file di seggiole dalla seduta e dallo schienale in pelle scura. Poi gli avamposti di cinque tavolini di granito rosa, riservati a chi paga un biglietto più costoso. Poi due metri liberi, dopo i quali si alza una pedana di legno, profonda cinque metri. Lo sfondo è una tenda di velluto ancora bordò.

La norma vuole che più è ridotto l'ambiente dove si danza flamenco, più aumenta l'interazione tra interpreti e pubblico.

L'Angelo Michele si siede a un tavolino, quello più a sinistra, provvisto di bicchiere e caraffa di sangria rubino.

 

Buio all'Escudellers. Poi un faretto bluette illumina il chitarrista in pedana. Parte un assolo che sa di sabbia bionda e di porto marcio, di spruzzi di sirena e di dolore di vedova di pescatore. Lui è Guillermo, faccia da camionista, larga con baffi pettinati e capelli imbrillantinati. Come suonatore di chitarra, Guillermo potrebbe dare lezioni ad Andrés Segovia.

Dalla tenda bordò esce Marisol. Lungo vestito vinaccia, fronte bombé, treccia grossa che scavalca la spalla e scodinzola sul seno. Marisol canta sotto un faretto rosa. Marisol può avere trent'anni o quaranta o cinquanta. Marisol canta su un registro grave, tono velato e rude, voce roca, un'eco di tragedia ma anche il graffio sporco del voler vivere.

Poi Marisol comincia a battere le mani, palmo contro palmo, con brevissimo indugio dei palmi alla loro unione. Arriva pure Regina e si accoppia, appena sfalsata, al battito.

Poi sale sulla pedana Joaquim, moraccione, gilet aperto sul torso nudo, jeans stretti. Joaquim balla dentro un raggio bianco. Balla a fianchi fermi, braccia che mimano la corsa/la crocefissione/il volo. I tacchi picchiano come se dovessero piantare chiodi nel legno sottostante.

Poi, dall'oscurità del bar, emerge Lei, Carmen, una vampa dalle fauci di un drago. Joaquim si apparta a battere le mani e Carmen occupa la stessa luce bianca del ballerino. Carmen danza, sguardo e movimenti rivolti verso il basso, introversa, in opposizione a leggerezza ed elevazione. Poi alza gli occhi per stregare ogni spettatore. Il busto e le mani hanno ondulazioni  come fossero dondolate da una corrente marina. Il pathos cresce. I tacchi incalzano e forzano il colpo quando concludono sequenze di passi. Il ritmo aumenta. La gonna spara a ripetizione bagliori rossi, come la cartucciera di una mitragliatrice. Le corde della chitarra scavano i polpastrelli di Guillermo. La testa di Carmen si butta di lato e il collo si apre a mo' di ventaglio. L'estasi sale verso l'acme. Le mani che battono sono dentro tutti i condotti uditivi. La voce di Marisol è lamento e guerra. Gli orecchini di Carmen sfavillano come stelle col Parkinson. E Carmen sbandiera la sottana stringendone due balze. Davanti alla pedana diluviano garofani, camicie appallottolate, banconote accartocciate, braccialetti, mazzi di chiavi.

 

L'Angelo Michele si alza e butta la giacca sul tavolino, rovesciando il bicchiere di sangria. Il borsalino decolla come un fresbee. L'Angelo Michele conosce la veemenza, la profondità, la dissennatezza del Duende. L'Angelo Michele sa che il Duende irride la luce, bullizza le muse che sono esterne alle vene, rinuncia a qualsiasi idea di congruenza. L'Angelo Michele sa come si viene conquistati dal Duende, sa quando il fuoco diventa veleno, sa quando è il momento di stoppare la trance. L'Angelo Michele salta sulla pedana e balla il flamenco per dimostrare a Carmen e a tutti che è pratico dell'argomento.

L'Angelo Michele ha ginocchia/tibie/calcagni miracolati e non sbaglia un colpo di tacco. Carmen continua a ballargli davanti, mani sui fianchi. Piovono altri garofani. Poi gli spettatori sono in piedi e battono le mani insieme a Marisol, a Regina e a Joaquim. L'Angelo Michele intraprende un giro su se stesso ma, appena dà le spalle a Carmen, Lei gli afferra il colletto e con forza lo tira in giù. La camicia si squarcia a metà. Le ali candide si aprono come quelle di un'aquila albina che stia per staccarsi da una rupe. Uuuuh collettivo.

L'Angelo Michele ha un leggero squilibrio per l'improvviso spiegamento alare. Carmen gli si butta contro, lo sgambetta, lo fa cadere di schiena. Lo schianto è violento. La pedana rimbomba. Le piume esplodono tutt'intorno.

Carmen solleva la gonna e si siede a cavallo dell'Angelo Michele, supino. Le mani di Lei tengono fermi sulla pedana i polsi di Lui. Carmen abbassa lentamente la bocca verso la bocca dell'Angelo. Guillermo pizzica le corde della chitarra ad una ad una. Il bacio è lungo: il rossetto color inferno di Lei si spegne tra i denti di neve di Lui.

Poi Carmen si alza e sparisce nel buio da cui è apparsa. Gli applausi riempiono l'Escudellers e non calano per un bel po'. Quindi il bar si svuota pigramente.

 

L'Angelo Michele resta seduto sul bordo della pedana, le ali riordinate ma i brandelli di camicia appesi agli omeri. Occhi trascesi su qualcosa di Altissimo. Labbra rosse. La lacrima d'ambra pasticciata. Le mani incapsulano le rotule.

Regina Guarnieri chiede all'Angelo Michele: -Puoi andartene, per favore? Dobbiamo chiudere il bar-

Ma l'Angelo è sordo, ipnotizzato, inamovibile.

Regina opta per telefonare al priore del Monastir. Il taxi con padre Heriberto non impiega tanto ad arrivare. Padre Heriberto, nel comune saio color castagna, s'inginocchia davanti all'Angelo Michele e gli stringe le guance tra le mani.

-Padre Heriberto- dice l'Angelo -il mio cervello è la porta di una scuderia che gli zoccoli di cavalli imbizzarriti stanno abbattendo. Il mio sangue fiotta come se dovesse allagare un monastero. Una mano di mare mi strappa il cuore-

Padre Heriberto sentenzia in rime ironiche: -Il Duende toglie le bende e spazza via le tende. Il Duende discende, prende, accende, sorprende, risplende e stende-

Padre Heriberto aiuta l'Angelo Michele a rialzarsi, gli dà il braccio come a un convalescente, lo tira a piccoli passi verso il taxi.

 

Il taxista, all'anagrafe Federico Garcia Lorca, recita: -Bisogna aprirsi interamente di fronte alla notte nera, per riempirci di rugiada immortale-

 

 

 

 

 


AREA

Archivio »

L'ANGOLO DELLA POESIA

Archivio »

RICETTA

Archivio »

ALTRI ARTICOLI

N°36

maggio 2024

EDITORIALE

...  continua »

 
 
 
 
 
 
ArchivioCONSULTA TUTTO »

 

OmnisMagazine n°44
» Consulta indice