TESTO DI

Lisa Bellocchi

Castrum di Novi



Ripercorsa la millenaria storia

Da villaggio perduto a bene vincolato. La millenaria storia del castrum medievale di Santo Stefano, a Novi di Modena, è stata ripercorsa in una seduta di studio della Sezione di Reggio Emilia della Deputazione di Storia Patria per le Antiche Provincie Modenesi. Sara Campagnari, archeologa della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per la città metropolitana di Bologna e le province di Modena, Reggio Emilia e Ferrara, e Mauro Librenti, dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, hanno illustrato le antiche vicende del castrum fatto costruire dal vescovo di Reggio, inquadrandolo nel fenomeno dell’incastellamento del territorio emiliano.
Nell’alto Medioevo, nelle carte d’archivio, l’insediamento era chiamato Vicus Longus e poi, a partire dal Mille, Santo Stefano, come la pieve reggiana cui era soggetto. Frequentata fin dall’epoca romana, l’area dove sorgeva il villaggio fa parte di un dosso fluviale generato da un paleoalveo del Crostolo, posta oggi al confine tra Novi di Modena e Concordia sulla Secchia. Nelle fonti documentarie il villaggio è ricordato già a partire dall’841, in età carolingia.
Su richiesta di Pietro, vescovo di Reggio (900 – 915) e proprietario di vari beni a Vicolongo, il re italico Berengario I concesse nel 911 il permesso di erigervi un castrum. Dopo la costruzione delle strutture difensive, il sito doveva mostrarsi come un piccolo gruppo di edifici protetti da un fossato, un terrapieno e una palizzata lignea. Nel 1287 il castrum –divenuto ormai un fortilizio signorile munito anche di torre, come suggeriscono i resti architettonici ritrovati– fu occupato e devastato da milizie mantovane e veronesi.
Il castello fu però ricostruito, facendo ancora parlare di sé nei decenni successivi fino alla definitiva demolizione nella seconda metà del XIV secolo.
Il secolare oblio del castrum di Novi di Modena è stato interrotto da un lungo e complesso processo di ricerca sfociato nella recente emissione del vincolo archeologico.
Ripetute ricognizioni di superficie, iniziate 27 anni fa, e sondaggi più approfonditi, propiziati nel 2011 dal progetto dell’Autostrada Regionale Cispadana, hanno non solo recuperato decine di reperti ceramici, metallici, numismatici, laterizi e lapidei, ma individuato in un areale di circa un ettaro, perfettamente visibile anche dalle foto aeree, un sito ad altissima potenzialità archeologica che sarà oggetto di future e approfondite ricerche. 

 

 

 


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