TESTO E FOTO DI

Carlo Maria Milazzo

Napoli, il derby dei Miracoli



“Dudù, noi a Napoli campiamo solo di miracoli” dice Totò a Nino Manfredi, nel film “Operazione San Gennaro”.

Piazza Garibaldi, davanti alla Stazione Centrale, è un lago nero, un affollamento di pelli nere. Potrebbe essere uno scorcio di Addis Abeba, Bamako, Nairobi. Non mi posso sorprendere di “un criaturo niro niro” che “'a mamma 'o chiamma Ciro”, nato “niro” perché “a vvuote basta solo na guardata e 'a femmena è restata, sott'a botta, 'mpressiunata” (Tammuriata, 1944).

Trascino un trolley che vorrei lasciare in albergo visto che è già un problema farlo passare tra la calca. Tentenno: le scale per la Metro sono nascoste da bancarelle che vendono trippa/tranci di pizza/birre/coche/cuoppo di fritture. Un cartello di fermata-bus è puro miraggio: è più facile trovare uno dei 50 (diconsi cinquanta) Santi protettori di Napoli che offra un passaggio su una nuvola semovente. Taxi introvabili come i biscotti della Nutella.

Sento battermi sul braccio. È un uomo magro, scavato sulle guance alla Eduardo De Filippo, capelli neri da shampoo alle seppie terrorizzate. Colletto della camicia parabolico, il maglione rosso sotto il gilet carbone lo assomiglia a Pippo.

-Vorreste 'o tassì di contrabbando- mi domanda.

Conosco solo il contrabbando delle bionde ma la proposta mi pare appetibile.

-Salvatore Miracolo- si presenta il tassista illegale allungando la mano. -Sasà per gli amici- aggiunge.

Rientriamo nella Stazione e accediamo al deposito-bagagli. Sasà spinge il maniglione di una porta su cui è scritto “Aprire in caso di emergenza”. Sbuchiamo su Corso Meridionale, innanzi a una Dacia Duster arancione, graffiata come se venisse da una diverbio con King Kong. Salgo dietro poiché il sedile davanti è occupato da una ragazza, capelli scuri e lisci alla Caterina Balivo (di cui ha anche il sorriso contagioso).

-Sarebbe mia figlia, 'a signurina Maria Incoronata- me la presenta Sasà.

-Marika- corregge 'a signurina.

Faccio vedere sul telefonino l'indirizzo dell'hotel prenotato.

-Mi permettereste di accompagnare la figliola all'Università- chiede Sasà, abusando del condizionale tipico del senso napoletano della relatività (al Vesuvio potrebbe girare storto da un momento all'altro).

-La fanciulla non è autonoma?- m'informo.

-No, è che stamattina, vestendosi, lei avrebbe messo la camicia a rovescio. Poi il naso le avrebbe fatto tre gocce di sangue. E avrebbe trovato le posate incrociate sul tavolo della colazione- argomenta Sasà.

-Uscendo da casa un cane avrebbe fatto pipì sul portone e 'o zavattino (il calzolaio) mi avrebbe chiesto “dove andate”- continua Marika.

-Se, uscendo di casa, voi incontrate uno o una che vi domanda “dove andate”, allora vi capita una disgrazia di sicuro- precisa Sasà al tempo indicativo della certezza.

-Con tutti questi indizi di jella, oggi sarebbe meglio che mi accompagnasse papà- conclude Marika.

-Va bene. Ma facimm' ambress- faccio il simpatico.

 

Corso Umberto I è bloccato da un ingorgo a croce uncinata che, come spiega Luciano De Crescenzo, prevede minimi sopravanzamenti tra una macchina e l'altra. Sasà sale sul marciapiede a sinistra, poi imbocca una via perpendicolare inaugurata da un enorme segnale di senso unico. Strada stretta, percorsa agli 80 km/h. Una signora total-black, stile vedova di camorra, si spalma contro un muro per non essere spianata dalla Duster.

-Maledètt tu e màmmata- urla la donna.

-Se ne approfitta perché ha ragione- commenta Sasà.

Sterzata a destra, con stridore di gomme. La strada è acciottolata ma la velocità non diminuisce. Salto sul sedile come un pop corn epilettico in una pentola surriscaldata. La Madonna appesa allo specchietto retrovisore balla la tarantella.

Altra girata a destra, leggera salita dietro una Panda che fuma come una ciminiera di Bagnoli. Eccoci di nuovo sul Corso dedicato al re sabaudo che, nel 1889, apre questa arteria sventrando i quartieri bassi decimati dal colera.

Il traffico è scorrevole e allora Sasà decide di affondare l'acceleratore. Stringo il poggiatesta davanti come se stessi strangolando un cobra. La Dacia brucia un semaforo rosso e il tassista si giustifica:

-Un rosso fresco-

Su per via Mezzocannone giganteggiano i palazzi di fine ‘800 dell'Università. Marika scende dinanzi a una targa che indica SCI NZ UMANISTICH , con le E cancellate da un monovocaleclasta.

-Lo studio non è lavoro ma la forma più gloriosa di gioco- sentenzia Sasà, citando De Crescenzo.

 

Riprendiamo la corsa con la Dacia. Un altro rosso semaforico viene ignorato. Sasà si scagiona:

-Qui, in Largo Berlinguer, il semaforo è comunista: 10 minuti di rosso e un minuto di verde-

Un sorpasso a destra e uno a sinistra come se fossimo sulla pista di prova di Pomigliano d'Arco. Un colpo di clacson all'unico motociclista con casco. Uno “statte buonariello, 'uagliò” gridato dal finestrino aperto a un ragazzo con berretto da capitano di vascello, sbracato su una seggiola di plastica.

-Quello è un parcheggiatore abusivo che sorveglia una macchina rubata, posteggiata irregolarmente nel posto per gli handicappati, ottenuto da un handicappato fasullo- ragguaglia Sasà.

Arrivato all'hotel, sul limitare dei Quartieri Spagnoli, rimango abbarbicato allo sportello come un lichene. Quando mi rilasso pago una cifra inferiore rispetto a un tragitto di uguale lunghezza a Roma/Milano/Bologna.

-Siete salvo....per Miracolo- ironizza Sasà.

Mi sovviene un altro aforisma di De Crescenzo: “Il momento più pericoloso di un viaggio in aereo è quando si prende il taxi”.

 

Uscendo dall'albergo trovo Sasà ancora lì. Mi dice:

-Avrebbe telefonato la figlia pregandomi di tornarla a prendere perché il professore avrebbe battuto con il fianco contro lo spigolo della cattedra e sarebbe iuto in infortunio. Se vorreste tornare verso il centro vi potrei accompagnare, gratìs e tranquillamente-

-Tranquillamente?- ripeto.

-Tranquillo come una tartaruga ubriaca di camomilla- garantisce Sasà e annuncia. -Facciamo un giro panoramico-

Saliamo a Castel Sant'Elmo. Qui Sasà intona il Canto delle Lavandaie del Vomero, inserito da Pasolini nella colonna sonora del Decameron. In via Scarlatti seguiamo a passo d'uomo una processione con chierichetti/ceri/statua di Santo dondolante in spalla a quattro portatori.

Riscendiamo traversando il Ponte della Sanità che sorvola il dedalo grigio del rione omonimo. In fondo, il mare color acciaio incute un po' di paura ma, come dice Eduardo, “'o mare sta facenno 'o mare”.

Ci fermiano in doppia fila alla chiesa di Santa Maria dei Miracoli, in Piazza Miracoli, angolo vico Miracoli. Tre frecce accese, la quarta si riposa.

-Accènd 'na candèl- comunica Sasà.

-Non si fa tardi per Marika?- chiedo.

-Il tempo adesso va allargato- filosofeggia Sasà.

Quando Sasà torna al volante gli dico:

-Scenderei a Porta Capuana-

-Se doveste visitare il Duomo, potreste cercare mio fratello Vincenzo, che fa la guida- consiglia Sasà.

 

Vengo scaricato a lato della chiesa di Santa Caterina a Formello, a 30 metri dal punto richiesto. Sasà non vuole essere pagato; gli lascio 10 euro penzolanti dal parasole.

Costeggio la torre di Castel Capuano e arrivo a Forcella, una Y che introduce ai vicoli brulicanti del centro storico. Forcella è sede di miracolo: nel 20 a.C. il circondario è infestato di rettili. Virgilio, l'autore dell'Eneide, compie un rito propiziatorio: uccide qui una serpe smisurata velenosissima e la seppellisce sotto due metri di terra. I rettili scompaiono al completo.

Nelle stradine dove il sole non entra per timore di uno scippo della luce, bambine che dovrebbero essere a scuola sono sedute su soglie di portoni e vendono stecche di Marlboro che spuntano da zainetti Hello Kitty. Passano il tempo smanettando il telefonino. Un'anziana sdentata e con fazzolettone pervinca mi offre una scatoletta dorata contenente: -'Uanti e Cialìs schiantafemmene (preservativi e viagra miracoloso)- Una prostituta dell'est mi fa l'occhiolino. In alto vibra biancheria colorata, stesa su fili che vanno da una casa a quella di fronte. Il nome del vento che asciuga il bucato? Scirocco novembrino. I cesti (panari) calati dalle finestre vengono riempiti da un ragazzetto in moto di buste della spesa (al sud non si chiamano sacchetti). Una bandiera biancazzurra con una N dentro un cerchio riporta la scritta: “Insigne fenomeno, Ancelotti ricchione”.

Mi affianca un giovanotto: viso da attore maledetto/bomber aperto su maglietta Armani/orecchino con crocefisso pendente abbagliante. Scambiandomi per straniero mi si rivolge:

-Exusemì. Ai speki englisc. Ai ev a bisinéss. Ies, aifone, tablette, cellular. Ai ev 'o computér Mec. Iz cost affare, biutifull-

Mi mette in mano un Iphone, di sicuro l'ultimo modello. Glielo restituisco subito. Da mezzo secolo so che questo approccio prelude al “pacco”: un oggetto di altissima tecnologia viene offerto a metà prezzo. Solo che, dopo il pagamento, la confezione nella scatola originale rivela all'apertura cartone pressato.

-Aifone, 200 euros- insiste il ragazzo che saluto con un ciao ciao della mano.

 

Sportomi in via dei Tribunali vedo Vincenzo Miracolo. È uguale al fratello: filiforme/guance mangiate alla Erri De Luca/capelli neri come lucidati da uno sciuscià. Giacca verdona e foulard psichedelico. Vorrei evitarlo ma lui mi sbarra il cammino.

-Mi avrebbe detto mio fratello che vorreste visitare il Duomo- mi spadella.

Non posso che annuire.

-Chiamatemi Enzino- mi esorta il Miracolo 2 mentre mi mostra una tessera-patacca di “Accompagnatore Turistico”.

Enzino mi prende a braccetto e andiamo dietro al Duomo, nella piazzetta Riario Sforza. Da qui si contempla la Guglia di San Gennaro, obelisco barocco eretto per ringraziamento da scampato pericolo durante l'eruzione del Vesuvio. Pleonastico segnalare che il B&B accanto all'abside ha nome “Il Miracolo”.

-Ascoltate con attenzione- mi invita Enzino.

Le campane rintoccano il mezzogiorno in un susseguirsi di suoni che s'impennano al centro, DIIIIIN.

-Avete sentito?- si sincera Enzino.

-Che cosa?-

-Il nitrito del cavallo! In mezzo a ogni rintocco ci sta un nitrito-

-Ammetto un effetto acustico speciale-

Enzino parte:

-Il poeta Virgilio, quando soggiorna a Napoli, scolpisce un grandissimo cavallo di bronzo e lo installa qui, dove siamo adesso. Gli animali malati, compiendo tre giri intorno al cavallo, guariscono prodigiosamente all'istante. Il fatto è raccontato nella trecentesca Cronaca di Partenope e da Matilde Serao, nel 1906-

-Il nitrito campanario?- sollecito.

-Il corpo di bronzo del quadrupede viene usato per forgiare le campane della cattedrale. Per questo,    in miezo allo scampanio, si sente il nitrito del cavallo magico di Virgilio-

Mentre ci dirigiamo alla parte anteriore del Duomo, Enzino ascrive un altro punto a favore del poeta mantovano:

-Grazie alla evocazione di demoni, Virgilio fa scavare in una sola notte la Crypta Neapolitana, galleria di 711 metri dentro al tufo, a Posillipo. La Crypta è la tomba del maestro di Dante-

La facciata della cattedrale è una sintesi di gotico che va dal 1300 al 1900. L'interno è scandito in tre navate da 16 pilastri. Luce giallastra. Soffitto a cassettoni. Dipinti di un sottostimato Luca Giordano sulla fascia superiore della navata centrale. Dalla navata destra si passa, attraverso un monumentale cancello in ottone, nella Real Cappella del Tesoro di San Gennaro. Qui, tra dipinti del Domenichino e di Ribera, sono custoditi il busto reliquiario del vescovo martire e, dentro due cassette d'argento dietro l'altare, le ampolle col suo sangue rappreso.

-Le ampolle vengono esposte al pubblico tre volte all'anno, allorché avviene la liquefazione del sangue. L'evento accade il primo sabato di maggio, il 19 settembre e il 16 dicembre- ricorda Enzino.

-Ma questa liquefazione, può sempre essere vera?- metto in dubbio.

Enzino mi dà uno schiaffetto e alza un poco la voce:

-Voi vi riferite a quegli pseudoscienziati che avrebbero detto di aver riprodotto il miracolo del sangue in laboratorio-

-Esistono sostanze, chiamate tissotropiche, in grado di passare dallo stato solido a quello liquido quando l'involucro in cui sono contenute viene agitato. Salvo poi tornare allo stato solido quando l'involucro viene tenuto fermo- azzardo.

-E allora perché 'st'intelligentoni di scienziati non vengono a prendersi 'sti.....involucri.....e dimostrano che 'o sanghe è gelatina?- si scalda Enzino e prosegue: -Perché non vengono, che Gennà li disintegra in polvere di caffè appena allungano le dita verso 'o sanghe-

Per quel che ne so io, la prima liquefazione avviene il 17 agosto 1389, ma prima di quella data il reliquiario è aperto e, come narra André de la Vigne nel 1510, esiste un'apposita verga d'argento per tastare i sacri resti, duri come sassi. Nel 1389, nel mezzo dello scisma d'Occidente, a Napoli si contrappongono la fazione angioina devota al Papa di Avignone e quella dei durazzeschi, obbediente al Papa di Roma. Quando arriva in città un'ambasceria proveniente dal capoluogo provenzale, durante i festeggiamenti, il sangue si scioglie per la prima volta, garantendo consensi ai filoavignonesi......Ma, nonostante questo appunto storico, si badi bene che io non mi schiero: si scherza con i fanti e si lascia stare i Santi... soprattutto San Gennaro.... soprattutto a Napoli.

Torniamo sul sagrato. Enzino mi delucida:

-Il napoletano, verso San Gennaro, si ritiene più un contraente che un umile richiedente. Il napoletano stabilisce un patto col Santo. In un dialogo con Gennà il petente chiede una grazia individuale o collettiva. Quando, ad esempio, si tratta di fermare la lava del Vesuvio, la grazia è collettiva. Nel 1631 un corteo di centomila oranti stanno dietro la statua di marmo del Santo, che viene portata sul Ponte della Maddalena. E Gennà muove la mano di pietra nel gesto di chi chiede a 'o pulmànn di arrestarsi alla fermata facoltativa. Il magma miracolosamente si blocca-

-Come si gestisce la grazia personale?- interpello.

-Voi chiedete al Santo, poi lo sollecitate in una sfida verbale. Se lui tarda a concedere il favore, allora lo etichettate come “incapace”, come “illusionista da circo”, come “usurpatore di fama”. Poi lo offendete dandogli del “miezo limone” e della “faccia gialluta”, in riferimento al suo busto di argento e oro-

-E San Gennaro soddisfa sempre?- interrogo ancora.

-Sempe. Abatèrno. E appena ottenuto il miracolo, il contraente porta al Santo il compenso, l'ex-voto, possibilmente di metalli preziosi e gemme-

Enzino mi mette una mano sulla spalla. Mi domanda:

-Sapete come vengono chiamati gli ex-voto?-

-No-

-Vengono detti, e notate la finezza, “complimenti”. Praticamente un battimani al Santo che ancora una volta ha esibito la sua bravura-

 

'O monnezzaro (il netturbino) spazza i gradini della cattedrale. Sull'angolo di uno scalino la zingarella del museo di Capodimonte chiede l'elemosina, col bimbo in braccio. 'O cacciuttiello (un cane piccolo) cerca briciole in strada.

Tre suricelli (topi) sfrecciano tra due tombini. 'O scartellato (il gobbo) viene accarezzato da ogni passante. Il monaco si ferma a benedire una vecchia. -11 - 57 - 37, sarebbe il consiglio della Smorfia per il terno, con la discrezionale aggiunta dell'89, la vecchia- traspone Enzino sulla ruota del lotto.

Dalla destra di via del Duomo arriva una quarantenne che ricorda Alessandra Mussolini, bionda innaturale, labbra a ventosa purpurea, 120 di seno. Spinge come una vasciaiola (donna rude dei bassi) un uomo tondo. Gli urla contro in un dialetto inaccessibile e, ogni 15 secondi, gli tira un manrovescio sull'omero. Indietreggiando il signore sferico ripete come un mantra: -Oh vajassa, v'avisseve calmà-

Uno scugnizzo dallo sguardo selvaggio fischia con le dita in bocca e grida:

-'A mossa!-

La Mussolini ferma l'aggressione e, memore di zia Sophia, si lancia in uno scuotimento di natiche e poppe.

 

E' tutto teatro?

Io non lo so, ma molti direbbero: “Simme 'e Napule paisà”.

 

 

 


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