TESTO DI

Mirella Golinelli

Beethoven, quel gigante!



Riflessioni sulla sua musica, nel 250esimo anniversario della nascita

Parlare di arte, in un momento storico così particolare, quando tante certezze ed abitudini sono venute a meno e l'umanità volge ad un cambiamento forzato, non è semplice. Questa clausura surreale e apocalittica si sta aprendo in maniera contingentata, per andare incontro al bisogno umano di arte. Già nel primo ‘900, Hans Arp pronunciava: “perduto ogni interesse per quel grande mattatoio che fu la Prima Guerra Mondiale, ci volgemmo alle Belle Arti”, come la prima in assoluto; ovvero la musica. Sicuramente la Rivoluzione Francese, ebbe gravi conseguenze, sulla letteratura fornitaci dai compositori dell'epoca. Alla fine del XVIII secolo, si creò una profonda lacerazione nel mondo "classico" che fece spazio a quello “romantico”.

Si definì nel corso della sua esistenza "incompreso" e per questo non risparmiò di lamentarsi, contro quei musicisti, operisti e mediocri compositori del suo tempo, che percepivano lauti compensi; lui il maestro di Bonn, Ludwig Van Beethoven, che incassava magri guadagni. Le sue composizioni, dal carattere così potente, lasciavano disorientato e sgomento il mondo della critica e l'uditorio. Fu Luigi Cherubini (1760-1842), con la sua opera Medea, a precorrere Beethoven, tanto da caldeggiarne in Francia l'esecuzione della Sinfonia in do maggiore. La triade Mozart, Haydn e Beethoven, lasciò forse il più importante segno tra le due epoche e Beethoven ne fu in assoluto il più grande rappresentante. Con lui si modifica il corso della storia. Discordia concors è il momento monodico che si alterna a quello polifonico.

Nel periodo classico, la musica viene considerata facente parte del quadrivium insieme a geometria, aritmetica ed astronomia. Negli ultimi due decenni del XVIII secolo, la scuola romantica, sulla scia dello Sturm und Drang tedesco, assume un carattere originale o assoluto, come lo definisce Schelling.

Beethoven che assistette al trionfo di Cherubini nel Faniska (1806) - lui che stava componendo il Fidelio - apprezzò enormemente il lavoro del fiorentino, tanto da inserire nella moltitudine di testi che frequentemente leggeva, anche quelli di Cherubini. Di questo immortale compositore sordo, selvaggio che non voleva amici, per non diventarne "servitore", ricorre quest'anno il 250° anniversario della nascita (16 dicembre 1770- 26 marzo 1827).

Giulietta Guicciardi, una contessina volubile, conosciuta nel periodo più felice della vita di Beethoven, rimase il suo più grande amore. Per lei scrisse "Il chiaro di Luna". La devota Teresa di Brunswick soffrì invece il suo disinteresse totale. Passare all'analisi formale delle sue composizioni è un caso intrigante, tra fughe, sinfonie, forme-sonata, fughe a carattere beethoveniano e scherzi. Questi nuovi concetti attinsero dalle libere forme per organo di Frescobaldi e Bach. Un aspetto che rimane più marcato della sua personalità era il rapporto con la Natura. Egli infatti scriveva "la natura è l'eco di cui abbiamo bisogno". La sua visione naturistica fu quella romantica. Spesso il Maestro - che amava passeggiare per la campagna costeggiata dagli alberi, nei dintorni viennesi- si toglieva gli abiti, li infilava a bastone e, distendendosi a terra, contemplava, all'ombra dei pini, il cielo. Il rapimento dal quale veniva pervaso nei confronti della Natura, era per lui il distacco dalla mondanità. L'esternazione del suo rapporto naturistico, non è da ricercare tanto nei nomi con i quali appella le sue composizioni (Sinfonia pastorale, Sonata pastorale per pianoforte op. 28 o, Sonata "l'aurora" op. 53) ma nell'ampio respiro che sorregge tutta la linea melodica ed il discorso in essa contenuto che produce momenti estatici. Nella sua musica si assapora anche il presagio fatale e da essa traspaiono sempre il suo "ego sum", l'audacia e la sicurezza tipiche di un uomo instancabile, unico e non paragonabile a nessun altro.

Il suo linguaggio era melodia parlante, come si può riscontrare nelle composizioni datate dal 1802 al 1821/23; cioè dalla Sonata in Re op.31 alla IX Sinfonia. Il mondo illuminista aveva ceduto il passo a Kant e ad Hegel. Al sogno romantico si era contrapposta la tristezza che aveva reso "brutta" la musica, ma Beethoven, non ne fu travolto; con immenso fervore divenne l'apostolo della figura del compositore che vive da uomo, prima che da artista. Dopo di lui, i nuovi compositori mescolarono il buono con il cattivo e la tanto ricercata purezza ed innocenza che scaturivano dalle sue composizioni, pregne dell'altezza spirituale e di una originale veemenza, non si ritroveranno altro che nella grandiosità della musica wagneriana.

 

 

 


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