TESTO E FOTO DI

Luana Spernanzoni

Il richiamo della terra più forte di tutto



Nelle Marche colpite dal sisma tante le difficoltà per il settore agricolo. La storia di chi ama questi luoghi e non molla. Nonostante tutto

La notte del 24 agosto 2016 alle 03:36 il sisma di magnitudo 6.0 colpisce i territori di Abruzzo, Lazio, Marche e Umbria. Il bilancio è gravissimo: 299 i morti in totale, 365 i feriti e decine di migliaia gli sfollati a causa del crollo di abitazioni e palazzi. I paesi più colpiti sono Amatrice nel Lazio, dove muoiono 237 persone, Arquata del Tronto, nelle Marche, dove perdono la vita in 51 e Accumoli, nel Lazio, dove muoiono in 11.

Nelle Marche trentamila persone in poche ore vengono dislocate negli alberghi della costa perché le loro case sono inagibili. Tante attività produttive sono distrutte in un’area periferica già messa a dura prova dal progressivo spopolamento.

Per tre lunghi mesi l’Appennino Centrale continua ad essere devastato dalle scosse sismiche che hanno lasciato morti da piangere, pietre da rimuovere, piccole e grandi storie. Il tessuto sociale del territorio è lacerato.

Crollano 458 stalle e 380 fienili, la zootecnia marchigiana, fatta di piccoli allevamenti, è messa in ginocchio. Tutte le aziende del settore agroalimentare già in gravi difficoltà, ora rischiano l’abbandono. Ma sono molte le realtà che malgrado tutto non si arrendono.

Ad Amandola (FM) sui Monti Sibillini, la scossa di terremoto più forte che si ricordi sveglia in piena notte tutta la famiglia Corradini. Carla chiama con angoscia i figli. Alice ha ancora i calcinacci sul volto; Elia insieme a papà Vittorio cerca di mettere in salvo il cane e il gatto e raggiungere la porta. E’ buio pesto. La luce è saltata. Raggiungono la porta principale ma non si apre, è bloccata, le pareti si stanno deformando, la terra continua a tremare. A tastoni cercano disperatamente di uscire dal retro. Sono finalmente fuori, sono salvi. Nel silenzio della notte un suono che fa paura e non riconoscono perché non l’hanno mai udito, li raggela. E’ il crollo di una casa vicina.  

Alice e il fratello Elia non indugiano, prendono l’auto e corrono a vedere. La casa dei vicini che hanno sentito crollare fortunatamente è disabitata.  Raggiungono la stalla delle loro mucche a pochi chilometri di distanza. E’ in piedi. Le vacche sono agitate, muggiscono nelle notte ma sono tutte indenni.

In legno, antisismica, fu costruita nel 2005 da Vittorio, che l’ha studiata bene perché fosse in armonia con l’ambiente, arieggiata d’estate e calda d’inverno, spaziosa affinché le bestie potessero muoversi. L’ha realizzata in gran parte con le proprie mani, mani artigiane, da falegname. Mani che forgiano il legno, disegnano, progettano, coltivano non solo la terra ma anche il sogno di una vita più sana per tutelare l’ambiente bellissimo che lo circonda. Per lasciare ai figli qualcosa di bello e sano, per il loro futuro.

Ma dalla notte del 24 agosto in poi lo sciame sismico continua, non c’è più modo di sognare. Il futuro non si vede più. Conta solo il presente.

 La vita di tutta la famiglia, come di tutta la popolazione del cratere è interrotta, stravolta.

La casa è completamente inagibile. Si trovano a vivere in quattro dentro una struttura prefabbricata di 60 metri quadrati, la misura standard per 4 persone. Insalubre. La condensa bagna le pareti, i letti sono sempre umidi, i panni non asciugano mai.  

La loro abitazione ora è il “MAPRE”, si chiama così il “modulo abitativo provvisorio rurale di emergenza” che la Protezione Civile fornisce alle aziende rurali danneggiate perché allevatori e contadini possano rimanere nella propria terra per seguire i campi e gli animali. E’ crollata la macelleria aziendale, crollati i capannoni per il riparo delle attrezzature del fieno, della paglia. Anche i ricoveri dei maiali sono danneggiati.

Alice ha 35 anni. Ha studiato arte all’Accademia di Urbino ma già da prima del sisma ha lasciato il diploma nel cassetto ed è tornata ad Amandola per occuparsi dell’azienda di casa, degli allevamenti. E’ lei che dà da mangiare alle 60 mucche due volte al giorno, cambia la lettiera permanente, macina favino, triticale e orzo provenienti dai campi della loro azienda, 50 ettari, tutti coltivati con i metodi dell’agricoltura biologica.

I maiali vivono in recinti all’aperto, hanno spazi per grufolare, il benessere animale è garantito. Alice custodisce con tanta passione anche loro.

E’ lei che, con la mamma Carla, che ha 65 anni, si occupa della carne. Una volta al mese all’alba vanno al mattatoio del paese per la macellazione di un capo bovino e di un suino.

Poi sono sempre le donne che preparano i tagli e le confezioni famiglia in pacchi sotto vuoto.

Un lavoro impegnativo, 600 kg di carne bovina e 100 kg di maiale al mese. Due giorni resi ancora più faticosi da quando il laboratorio che era vicino a casa è ora inagibile.

Quando i pacchi di carne da 5 kg e multipli, sia bovina che suina, sono pronti, i loro clienti li passano a ritirare direttamente in azienda perché è sempre un piacere scambiare due parole con “i Corradini,” vedere quanta passione dedicano alla terra, all’ambiente circostante, quanta naturale armonia c’è nel ciclo produttivo.

La carne biologica della Fattoria Corradini arriva in poche ore anche lontano. Alice ed il fratello Elia caricano il furgone refrigerato e partono per le consegne a domicilio che effettuano personalmente in tutte le Marche e in varie zone d’Italia, da Pescara a Roma, da Milano fino a Trento.

Anche Elia, che ora ha 30 anni, non ha resistito al richiamo della terra e, nonostante abbia studi universitari in agraria e grafica pubblicitaria, non ha esitato a tornare ad Amandola dove mette in atto, nell’azienda familiare, il sapere accademico.

La decisione di lasciare la città per tornare in campagna i genitori Carla e Vittorio la presero nel 1989. Lasciarono Milano, dove Carla faceva la maestra e Vittorio lavorava in una mensa scolastica, per tornare ad Amandola, paese natale di Vittorio, per costruire una vita più sana e naturale pensando al futuro dei figli.

I ragazzi scelgono di unirsi a loro, con passione, con il sorriso.

Un cambio radicale, un sogno che piano piano si realizza, da pochi capi di pecore fino ai 60 capi bovini.

Poi tre anni fa il terremoto che rende tutto più difficile.  L’avvenire diventa incerto. La burocrazia frena la ripresa dell’attività.

Fortunatamente scatta la solidarietà. Gli amici di Elia, senza avvertirlo, attivano un crowdfunding. In soli dieci giorni, grazie alle somme raccolte, il grande fienile accanto alla stalla è in piedi. Fieno e paglia vengono messi al sicuro. Come per altre iniziative nelle zone del sisma, la solidarietà sostiene concretamente e risolve. Aiuti arrivano da chi li conosce e stima, ma anche da tanti sconosciuti dal cuore grande.

Ad oggi, la ricostruzione della loro abitazione non è neanche partita. Alice è andata ad abitare i con il suo ragazzo in paese ad Amandola, come aveva progettato prima della scossa del 24 agosto 2016.

Anche Elia, finito il lavoro dei campi che svolge con il padre, sta progettando una vita indipendente.

Nel container sono rimasti Carla e Vittorio, tenacemente.

Nessuno della famiglia Corradini pensa minimamente di lasciare quei luoghi bellissimi nel Parco Nazionale dei Sibillini, nonostante la tragedia del terremoto abbia segnato le loro vite.

Non abbandonano i loro progetti anche se la vita quotidiana si è fatta ancora più dura e quell’umidità perenne del prefabbricato “provvisorio” non fa bene per niente alla tosse cronica di Vittorio.

Li legano un’armonia e un’intesa familiare non comune, la passione per quella scelta condivisa, l’amore e il rispetto per la natura, per i luoghi bellissimi.    

Non demordono, nonostante la ricostruzione sia ancora oggi soltanto una parola dello striscione appeso fuori dalla loro casa crollata.

 

 


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