TESTO DI

Pamela Polvani

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Ravenna bizantina e i mosaici del ‘900



Ristrutturato e aperto al pubblico il Palazzo dei Mutilati

Un nuovo percorso culturale si propone al turista che giunge a Ravenna attratto dal ciclo dei mosaici bizantini, di cui la città è indiscussa capitale mondiale.

Esattamente un anno fa è stata aperta al pubblico (per iniziativa dell’associazione culturale Tessere del ‘900) la Sala dei Mosaici all’interno del palazzo del Mutilato di Guerra.

L’importanza della riscoperta e messa a disposizione delle opere ivi conservate è determinata dalle vicende storiche, sociali e politiche che per anni hanno celato a chiunque la possibilità di beneficiare di tanta arte.

I pannelli furono coperti, letteralmente oscurati: in un primo tempo per proteggerli dagli eventi distruttivi della seconda guerra mondiale e poi successivamente per cancellare le testimonianze di un periodo storico controverso e che oggi si va rivalutando soprattutto nello studio dei movimenti culturali del secolo breve.

La storia della “riscoperta” dei mosaici della Casa del Mutilato risale agli anni ’80 e da lì è iniziato un percorso di alterne vicende che hanno visto passaggi di proprietà dell’immobile, coinvolgimenti di istituti bancari, imprenditori e pubblica amministrazione, polemiche e interventi di intellettuali, artisti e critici d’arte. Solo in tempi più recenti c’è stata la possibilità di recuperare definitivamente, per iniziativa privata, lo spazio quale location per iniziative culturali, convegni, nonché luogo di incontro e di convivio dato che è stato predisposto anche un ricercato servizio di ristorazione e caffetteria.

La preziosità del salone è determinata dalla presenza di quattro mosaici (in origine erano 5) realizzati fra il 1940 e il 1941.

Tali opere, a suo tempo promosse dall’allora Ministero della Cultura, sono la testimonianza di un’epoca nella quale, per le spinte alla celebrazione dell’Impero, si lavorava a grandi edificazioni di palazzi a destinazione pubblica, alle campagne di scavi archeologici per riportare alla luce gli antichi “palatia”.  In particolare per quanto riguarda i nuovi edifici questi dovevano essere decorati con opere di arte figurativa il cui costo doveva essere pari almeno al 2% della spesa della costruzione.

In quel clima di grande fermento nel quale futurismo, cubismo, espressionismo e divisionismo erano protagonisti, vennero commissionati i pannelli musivi della grande sala del primo piano.

 

Dei cinque mosaici due opere furono create in studio e poi collocate sulla parete di accesso alla sala.  Si tratta di due mosaici sovrapposti, di cui uno solo è stato conservato. I cartoni furono progettati dal pittore Anton Giuseppe Santagata, genovese attivo soprattutto a Roma.

La realizzazione dei mosaici venne invece affidata a due giovani artisti, Ines Morigi e Antonio Rocchi, che eseguirono il lavoro in studio su grandi tavole inclinate di legno, sulle quali poi vennero gettate grandi lastre di cemento, e montate in seguito mediante grappe di metallo.

Il pannello superiore caratterizzato dai colori che richiamano il cromatismo classico dei mosaici bizantini di Ravenna (oro e azzurro) raffigura Giulio Cesare (con il volto di Mussolini) a cavallo che varca il Rubicone, guidando le sue truppe.

Sullo sfondo, la città con imponenti mura e turrita rappresenta inconfondibilmente Ravenna: sono presenti infatti richiami ai suoi monumenti e all’antico porto di Classe.

Il pannello inferiore, ora perduto, rappresentava Roma con il Duce alla testa degli squadristi marcianti; questo pannello venne prima danneggiato dai partigiani, poi smontato e probabilmente demolito per far posto ad una più ampia porta di accesso al salone, quando questo venne trasformato in sala da ballo.

I protagonisti della sala sono però indiscutibilmente i tre grandi pannelli musivi, allocati sulla parete di destra, speculari ai finestroni che affacciano sulla piazza.

 

La realizzazione dei cartoni è opera del pittore Giovanni Majoli, docente di Decorazione Pittorica all’Accademia di Belle Arti di Venezia, che andò addirittura a scegliere, con Renato Signorini, i ciottoli nel greto del Piave, dai quali furono ricavate le tessere per i mosaici.
I pannelli del Majoli furono approntati dai mosaicisti Werter Focaccia, Libera Musiani e, naturalmente, dallo stesso Renato Signorini che ne diresse l’esecuzione.

Questi riquadri, apparentemente in bianco e nero, sono ricchi di sottili sfumature di cromatismo che vengono esaltate a seconda della luce che vi si riflette sopra. In questi pannelli è evidente il legame stilistico con il Futurismo e il Postcubismo; la tecnica è di tipo divisionista.

Il tema rappresentato è sempre quello della celebrazione della gloria Patria: l’omaggio ai combattenti sul Piave nella Grande Guerra; la guerra d’Africa (che nel suo drammatismo inserisce l’elemento della superiorità delle popolazioni “moderne” che possiedono la tecnologia; ne è testimonianza l’elica dell’aereo); la guerra di Spagna appena conclusa.

Queste opere vennero eseguite in loco, mentre era ancora in atto la costruzione del palazzo.  La loro riscoperta e il successivo restauro è stato possibile soprattutto grazie al recupero dei cartoni originali del Majoli.

 

 


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