TESTO DI

pamela polvani

FOTO DI

Markéta Machová da Pixabay

La nuova normalità attraverso il "capitale umano"



Come supportare le persone in una trasformazione che sia di qualità e di crescita

Con normalità si intende “condizione di ciò che è o si ritiene normale, cioè regolare e consueto, non eccezionale o casuale o patologico”.

Dalla normalità che conoscevamo fino allo scorso mese di febbraio, siamo stati forzati all’adattamento a ciò che è eccezionale e patologico.

E’ accaduto qualcosa di dirompente che ha fatto saltare tutti gli schemi, le certezze, le sicurezze, i percorsi consueti delle nostre attività e delle relazioni personali e professionali.

Un fenomeno che si è rafforzato facendo leva sulla paura, cioè immettendo insicurezza, senso di smarrimento e ansia di fronte a un pericolo. Che il pericolo fosse reale o immaginario non fa differenza sugli effetti.

Nello scenario apocalittico che ha visto le città e gli uffici svuotarsi, che ha fermato le persone privandole delle libertà, in primis quelle di spostamento, si sono registrate situazioni reattive opposte.

Alcuni settori hanno visto aumentare il ricorso ai propri servizi e alla propria produzione: mi riferisco a tutto ciò ad esempio che riguarda l’informatica, la prevenzione e protezione, e quanto altro, per decreto, è stato ritenuto di prima necessità

Altri settori di contro hanno subito la chiusura forzata senza possibilità alcuna, né utilità economica (per un rapporto costi benefici nettamente negativo) laddove anche avessero potuto continuare ad “erogare” a marce basse il proprio servizio.

E poi c‘è lo smart working... Lo strumento è stato adottato quale soluzione eccellente “dal grande male”, per continuare a produrre nell’ambito dei servizi.  Le attività sono state trasferite improvvisamente dagli uffici al soggiorno, o più spesso alla cucina, dello “smart worker”.

In questa condizione si è entrati nel bisogno ossessivo di moltiplicare le connessioni virtuali ritenendo così di sopperire a tutte le altre mancanze alle quali ci si è trovati costretti, scoprendo poi con il procedere dei giorni e delle settimane, quante più ore si stesse e si sta lavorando, e quanto sia indefinito il confine fra tempi/spazi di lavoro e tempi/spazi di vita privata, a scapito della qualità tanto del risultato professionale quanto della qualità della vita privata.

Sono evidenti segnali dell’assoluta impreparazione del nostro sistema economico a un mondo digitale e virtuale il cui gap è da colmare.  Non basta a ciò il lavoro (cosiddetto) agile!

Non è tanto un problema di tecnologia perché questa, con un opportuno piano di investimento, si risolve in maniera semplice.

Quello che è stato applicato semplicemente non è smart work, poiché ne mancano tutti i presupporti, a parte la distanza dalla sede originaria di lavoro.

Il problema vero, sulla base di queste premesse di natura culturale e organizzativa, si focalizza sulla risorsa uomo, su come supportarlo in una trasformazione che sia di qualità e di crescita ugualmente sotto l’aspetto psicologico e professionale.

La nuova normalità sarà determinata da come utilizzeremo il problema in ottica di opportunità.

Si può dunque partire dal pensare le conseguenze, cioè agendo prefigurando il futuro professionale ponendo il focus sul capitale umano.

Disegnare il futuro progettandolo attraverso l’analisi dell’attuale, ma superandola immediatamente, perché il futuro scorre veloce e diventa passato immediatamente.

Progettare la nuova normalità, cioè pro-iettare – gettare in avanti – è possibile solo avendo il coraggio di staccarsi dal problema che tiene ancorati, e quindi osare il cambiamento.

Mettendo al centro la valorizzazione della risorsa umana, le andranno disegnati intorno nuovi modelli di processi e per ogni nuovo processo occorrerà implementare nuove competenze: di relazione, di gestione dello staff dei collaboratori, di cambiamento di mentalità da manager a leader, del sistema di engagement, di influenzamento delle persone e di controllo dei risultati.

Partendo da queste basi, è possibile costruire il futuro funzionale e il successo dell’organizzazione nella nuova normalità.

 

 


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