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TESTO DI

Paolo Del Mela

Morire d'amore

“Galeotto fu il libro e chi lo scrisse…  (Inf. Canto V) “. E viene da pensare come mai una semplice lettura, anche se di contenuto amoroso, possa avere spinto i suoi lettori su una strada senza ritorno… Stiamo parlando di Francesca da Polenta e di Paolo Malatesta e del loro incontro diventato un tragico equivoco nuziale. Il castello dei da Polenta svetta maestoso sulle colline romagnole, impreziosito da un leggiadro giardino, incorniciato di colonne e portici. Da una finestrella si scorge un lembo azzurro di Adriatico. Paolo Malatesta, procuratore del fratello Gianciotto impegnato come podestà, ha il mandato per sposare Francesca e poi condurla tra le braccia del legittimo marito. Ognuno  ignora le fattezze dell’altro. Certo se Francesca si fosse trovata di fronte Gianciotto, sciancato e grezzo, piccolo di statura ed inelegante, avrebbe potuto cambiare idea. Ma quando, al di là del cancello del giardino, le si presenta Paolo Malatesta, la sua mano aggraziata e gentile, che stringe una rosa , trema e nel porgerla a quello che crede il suo sposo le sue pallide guance si tingono di porpora. Il giullare intona con la sua viola una delicata melodia. Cosa manca alla perfezione? Nulla. La visione è completa e l’immagine è suggestiva, ma alla fine c’è sempre qualcuno che vuole entrare per forza nel ritratto. E la sera Francesca si sente cadere addosso la realtà. Il suo sposo è quell’essere pauroso , dallo sguardo cattivo, simile a un caprone. E mentre la brezza del mare scompiglia le tende, Gianciotto  chiude la porta della stanza chiudendo fuori la felicità e i sogni che quella delicata fanciulla aveva portato in dote nel suo cuore. Il mattino seguente Gianciotto si alzò dal letto e si stiracchiò davanti alla finestra. Era gonfio come un tacchino e si lisciava le penne con orgoglio. Perché i gemiti e i sospiri di Francesca erano stati da lui scambiati per passione amorosa, mentre erano solo gli sforzi della fanciulla per resistere a quell’incubo che sembrava non avere mai fine. Quando il marito uscì, sperò, rannicchiandosi nel letto, che guerre , battaglie, tornei e giostre, potessero tenerlo lontano il più possibile da lei e da quel talamo infernale. E il destino , che sta sempre in agguato, cominciò in quei giorni a tessere una storia disperata… Sul leggio troneggia un libro,  è il romanzo di Lancillotto e Ginevra. Francesca legge e sospira. Paolo le sta alle spalle. Le teste vicine a sfiorarsi. La quiete intorno è rotta dal fruscio delle vesti della giovane donna, tormentate dalle sue mani tremanti. È dolce lasciarsi andare in quell’abbandono fatto di languore a tal punto da perderci i sensi. Il profumo della pelle di Paolo è inebriante e Francesca si sente stordita mentre cerca negli occhi di lui il riflesso della sua emozione. E le loro labbra si sfiorano. L’inatteso incontro amoroso impedisce loro di udire il passo pesante di Gianciotto, avvertito da un servo devoto della presunta tresca,  che rimbomba nel corridoio, quel passo spietato a due velocità che faceva tremare la schiena ai servi ( una sana nerbata non aveva mai fatto male a nessuno) e le gonne alle fantesche ( si poteva forse dire di no al padrone?). E se è vero che Ulisse naufragò tra i pepli compiacenti di Circe e Calipso, ed Enea si arenò fra quelli di Didone, Paolo il Bello incespicò non poco tra vesti e sopravvesti, ma alla fine il trofeo fu suo. E i due amanti finirono infilzati da un’unica spada come due tordi in uno spiedino. Massimo Ranieri si illude quando canta…d’amore non si muore. Si muore eccome. Anche se , come nel nostro caso, si diventa leggenda e si finisce nei versi del sommo Poeta, che si commuove nell’apprendere la triste vicenda anche se poi sbatte gli amanti all’Inferno . Ma è già qualcosa. Un lasciapassare della memoria per una storia che farà sempre parlare di sè… “Quali colombe dal disio chiamate…. (Inf. Canto V) “.