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TESTO E FOTO DI

Alessandro Maresca

Concimi, la lunga strada dalle miniere ai campi

Alla scoperta delle miniere del Negev e dei giacimenti del Mar Morto in Israele. Nell’estrazione dei minerali utilizzati per la fertilizzazione il rispetto dell’ambiente è diventata una priorità ma ha innalzato i costi

Non è facile immaginare la complessa logistica e gli elevati costi alla base dell’estrazione della materia prima per la produzione di fertilizzanti. L’organizzazione del lavoro di prelevamento prevede l’impiego di macchinari costosi e sofisticati e un lavoro sempre maggiore a causa del progressivo approfondimento delle “vene” da cui estrarre roccia di qualità.

Per la produzione di concimi fosfatici e potassici, Israele è uno dei paesi più importanti. Ai limiti settentrionali del deserto del Negev, nella zona più a sud si Israele, si trovano infatti miniere contenenti notevoli quantità di rocce fosfatiche, mentre dalle acque del Mar Morto viene estratta la carnallite, ossia cloruro idrato di potassio e magnesio (anche sulla sponda giordana).

Gli strati di rocce fosfatiche si trovano a diverse profondità e man mano che procede lo sfruttamento della miniera è necessario scavare sempre più in basso. Allo scopo vengono effettuati continui monitoraggi per l’individuazione delle rocce migliori da estrarre. Ovviamente gli strati più superficiali sono stati i primi a essere sfruttati e l’estrazione, nel tempo, è divenuta sempre più complessa e costosa.

Le miniere del Negev, per la natura geologica del suolo sovrastante le vene fosfatiche, sono del tipo a cielo aperto. Queste non solo tendono ad approfondirsi ma anche a svilupparsi in lunghezza; quarant’anni fa, infatti, l’estrazione di rocce fosfatiche nelle miniere del deserto del Negev, distava poche centinaia di metri dal sito produttivo dei fertilizzanti, mentre oggi il percorso dei mezzi di lavoro è ormai di un paio di chilometri, ed è destinato ad aumentare ulteriormente.

 

Grandi sbancamenti


Senza parlare della quantità di roccia da smuovere. Se infatti all’inizio dello sfruttamento delle miniere la quantità di roccia inerte (non utilizzabile per la produzione di concime) incideva per circa il 50%, oggi molto spesso è necessario spostare una quantità più di dieci volte superiore di roccia rispetto a quella fosfatica. In sostanza per estrarre 2,5 milioni di tonnellate di rocce fosfatiche vanno spostati ben oltre 25 milioni di tonnellate di pietre. Molte volte per arrivare a estrarre uno strato “buono” può servire anche un anno di lavoro, con costi produttivi decisamente elevati.

Si va sotto anche di 75 metri per trovare rocce “pregiate” mentre tutta la miniera viene solcata da strade della larghezza di 28 metri per agevolare il passaggio nei due sensi di marcia dei mezzi da lavoro.

Lo stato israeliano affitta il terreno per l’estrazione al concessionario, nella fattispecie Rotem Amfert Negev Ltd (del Gruppo Icl Fertilizer), per 49 anni a patto che il terreno venga riportato, alla fine dello sfruttamento, nelle condizioni iniziali. Questo comporta un’organizzazione mastodontica che prevede, inizialmente, l’accumulo della terra superficiale (quella che contiene tracce organiche e la carica batterica tipica di una roccia di superficie) che verrà poi riposizionata sopra la buca ricoperta dalla terra di scarto, una volta terminato lo sfruttamento di una vena.

Lo sforzo economico per l’estrazione delle rocce fosfatiche è proporzionale alle difficoltà da superare. Anche dopo che l’impianto di produzione è stato ammortizzato gli investimenti continuano e sono sempre più elevati, come dicevamo, in funzione dell’incremento delle difficoltà logistiche e operative.

Il costo dei mezzi – veri e propri giganti da lavoro con portate da 150 a 200 tonnellate – per il trasporto delle rocce è di circa 3,5 milioni di dollari, mentre per una gomma (il cui diametro è di circa 3 metri, vedi foto) ci vogliono 45mila euro! Si tratta infatti di pezzi unici, di dimensione e resistenza ragguardevoli, prodotti su misura e solo, chiaramente su ordinazione. Il fornitore è Hitachi.

I camion sono a trazione elettrica, per semplificare la costruzione della trasmissione, alimentati da giganteschi generatori diesel che consumano 100 litri di gasolio ogni ora.

La miniere, il cui sfruttamento avviene ininterrottamente 365 giorni all’anno dà lavoro a circa 100 persone.

E adesso, dal deserto del Negev, trasferiamoci sulle rive del Mar Morto.

 

Il potassio


Il Mar Morto è un mare chiuso che ha come immissario quasi esclusivamente il fiume Giordano (la cui portata è ultimamente molto diminuita a causa di un notevole sfruttamento delle sue acque), senza alcun emissario. Oltre a rappresentare il punto più basso della terra (si trova infatti a 397 metri sotto il livello del mare) è caratterizzato da una elevatissima salinità, oltre 10 volte quella dell’Oceano.

Sulla punta meridionale di questo mare molto particolare si trova il sito produttivo della Dead Sea Works, anche questa una società del gruppo Icl Fertilizer, che estrae il potassio a partire dalla carnallite che è anche una preziosa fonte di bromo.

Per estrarre la carnallite l’uomo ha profondamente modificato quest’area con la creazione di pozze della profondità costante di 2 metri in cui l’acqua evapora provocando un’ulteriore concentrazione dei sali. Queste pozze vengono percorse da particolari draghe che vanno avanti e indietro e convogliano la miscela concentrata di acqua e minerale verso l’impianto di produzione.

Successivamente la carnallite viene ulteriormente concentrata con varie tecniche a caldo e freddo che permettono di estrarre il cloruro di potassio. La produzione media dell’impianto è di circa 3,5 milioni di tonnellate di coluro di potassio all’anno con un lavoro continuativo 24 ore su 24, anche qui 365 giorni all’anno.

La maggior parte del cloruro di potassio viene commercializzato in polvere mentre un milione di tonnellate circa vengono granulate (scaglie di colore rosso) che vanno a costituire il cloruro di potassio per uso agricolo.

 

Produzione e ambiente


L’attività di estrazione della carnallite è strettamente collegata anche a una conservazione del background del Mar Morto. Il progetto della Dead Sea Works infatti è quella di evitare danni al paesaggio e di far convivere il turismo (sono noti i grossi benefici che i sali del Mar Morto apportano alla pelle specie per la cura di malattie importanti tipo la psoriasi) con l’attività estrattiva.

C’è il rischio, infatti, anche in conseguenza del mancato apporto di acqua, che il livello del Mar Morto si abbassi in breve tempo di altri 100 metri. Anche per evitare questo l’acqua dalla quale viene estratta la carnallite viene ripompata nella parte “naturale” del Mar Morto.

Alla Dead Sea Works lavorano circa 2mila persone che con un servizio di pullman gestito dalla stessa società effettuano il tragitto casa-lavoro e viceversa impiegano dai 30 ai 60 minuti.

A completamento dell’organizzazione dell’azienda ricordiamo che il prodotto estratto dal Mar Morto viene convogliato per mezzo di un nastro trasportatore della lunghezza di 18 km, che supera un dislivello di 800 metri, che permette di raggiungere una stazione ferroviaria sulle colline sovrastanti. Da qui il prodotto entra sulla strada che lo porterà sui mercati internazionali come materie prime o trasformato in prodotti finiti quali MAP, MKP e tutti gli idrosolubili NPK.

Il Gruppo Icl confeziona per molte aziende i prodotti finiti e con il marchio Everris per andare direttamente sul mercato dei rivenditori, con prodotti speciali.