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TESTO DI

Carlo Maria Milazzo

Catania, la Madonna picciridda

Ricordi d'infanzia, con un nonno e zia Anna

Un uomo che sta troppo poco con la famiglia non sarà mai un vero uomo

(Don Vito Corleone, Il Padrino)

 

PRIMO CONCETTO CHIAVE

A1) Il ponte di ?resund collega Danimarca e Svezia. È lungo 8 km dalla periferia di Malmoe fino a un'isola artificiale da cui si inabissa un tunnel di altri 8 km che sbuca davanti alla Sirenetta di Copenhagen. Il ponte sorvola il canale in cui vanno a cozzare frontalmente il Baltico e il Mare del Nord. Le onde si compenetrano ribollenti come due eserciti che si azzuffino all'arma bianca. Il ponte viene completato in 4 anni. B1) La distanza tra le coste calabrese e sicula è di 3200 metri e, vabbé, se lo stretto mette in comunicazione Tirreno e Jonio, un po' di correnti ci saranno. C1) Mizzica! I popoli nordici hanno al massimo 10 troll che guardano i cantieri con le mani dietro la schiena. Davanti a Messina ci sta Cariddi che, tre volte al giorno, ingoia una gran quantità di acqua per poi sputarla trattenendo, però, pescherecci/marinai/eventuali sezioni di ponti. E nei pressi di Reggio Calabria ci sta Scilla, creatura con 6 teste di cani rabbiosi, pronte a sbranare operai sulle impalcature.

A2) Il Golden Gate Bridge unisce San Francisco a Sausalito. Lungo 3 km, rimane sospeso tra due torri per 1300 metri. Dall'esterno spinge l'Oceano Pacifico, non una pozzanghera primaverile. Dall'interno s'innervosisce una baia scura, sobillata dalle anime dei morti di Alcatraz. Il ponte viene finito in 9 anni. B2) Nello stretto messinese il Tirreno giunge da settentrione, lo Jonio da meridione: c'è incompatibilità di caratteri, camurria reciproca. C2) Picciò! A San Francisco ci stanno 20 leoni marini che ruggiscono come se avessero mangiato le trombe di Louis Armstrong. A sud di Messina ci sta Polifemo che magari butta faraglioni in mare a distanza di sicurezza. Ma, mettiamo che un giorno il ciclope si faccia un barbecue di 15 capre e si fumi un chilum di papaveri oppiacei: allora forse tira un macigno fin sul ponte in costruzione.

A3) In Cina, il ponte Runyang scavalca il Fiume Azzurro, prolungandosi per 36 km. Il fiume è di certo impetuoso visto che raccoglie 1/5 di tutte le acque cinesi. Il Runyang viene ultimato in 5 anni. B3) A Messina o è scirocco o è tramontana e 'u mari fa funtàna. C3) Santu celu! In Cina si sa che il cemento viene armato con topi morti/pipistrelli poco cotti/pangolini infetti. A Messina il cemento dei piloni va irrobustito con cadaveri di fetusi sparati per mafia, altrimenti si sfarina come un castello di sabbia. Non è che in fase di allestimento del ponte si possono avere salme a getto continuo.

 

IL TRAGHETTO

Al sud si SCENDE, come verso un inferno càudu, dove l'eventuale lavoro è travagghiu dolorosissimo quanto il parto. Al nord si SALE, verso brezze celesti, verso un lavoro che nobilita l'uomo.

Agosto 1969, SCENDIAMO come ogni estate. Arriviamo a Villa San Giovanni dopo due giorni e mezzo di viaggio su una 128 verde, abitacolo spigoloso montato su una cassapanca con ruote (sedili in finta pelle/frecce giganti come cerottoni arancio/baule obliquo). Mio papà non ha mai lasciato il volante/mia mamma ha sempre tenuto sulle ginocchia meu frati nicu di 3 anni, mia soru picciridda ha sempre tenuto sulla gonna una scatola con dentro una tartaruga, io, caruso, ho sempre tenuto sulle cosce una gabbia con 18 coloratissimi uccellini orientali. Bagagli sul tetto legati con ganci elastici. Il sole è così forte che sembra di stare sotto la resistenza di un forno elettrico. 'U ferrybottu è grande quanto un transatlantico: davanti al molo spalanca la chiglia come bocca di squalo spilberghiano. I binari di Villa S.G. si spingono sul porto e vengono uniti a quelli dentro 'u ferrybottu. I vagoni fanno più manovre avanti-indietro prima di assestarsi. Le bestemmie dei macchinisti costano loro la cancellazione dai registri di Dio (Qualcuno sospetta che scendere dal treno in Calabria e ripartire da Messina su altre carrozze sia più semplice? Questo carugnùni è uno che vuole svuotare la vita e si spera che incontri presto due pallettoni di lupara). Montano quindi le auto, ad un piano superiore rispetto ai treni. Posteggiatori fanno segno di avanzare finché la vettura bacia quella davanti.

Quando si sale sul ponte del ferrybottu la Fata Morgana ti sfotte, avvicinando con effetto ottico il faro di Messina e i monti Peloritani. Pare di toccare il litorale siculo e la nave è così grande da potersi incastrare nello stretto. In coperta, il passaggio dal continente all'isola antiaderente è sancito dal morso all'arancino appuntito, acquistato al bar del ferrybottu. La crosticina crocchia all'impatto con gli incisivi/il riso cotto fa subito amicizia con la lingua/il ragù svela i piselli nascosti/il formaggio fila sulle gengive interne. -Sapùri di casa- apprezza meu patri a occhi semichiusi.

 

SECONDO CONCETTO CHIAVE

 

Prima di sbarcare a Messina tre nuvole si danno appuntamento nel celu gghiaru per scrivere: HIC SUNT TERRONES. Si sta per mettere piede nella terra dei Terroni. Qualche luogo comune vuole che anche parti meridionali dello stivale italico siano abitate da Terroni. Ma il siciliano è il terrone purosangue, il terrone al superlativo, il terrone certificato.

Il terrone SA TUTTO LUI. Proprio tutto, dall'accoppiamento migliore del pesto di fastuca (dall'arabo fustuqa, pistacchio) al perché dei terremoti nelle Eolie, dall'ermeneutica della finitudine ai 512 modi per cucinare la milingiana, dai libretti delle opere di Vincenzo Bellini (il cigno) ai rimedi per l'artrite psoriasica, dal legno migliore per fare un carretto siciliano a chi è un attassatore (portasfiga; scusate, mi tocco i cabbasisi).

Il vocabolario siculo inverte i significati delle parole “insegnare” e “imparare”. Insegnare si dice m'parari, per cui, se io ti insegno, allora io ti imparo, ti trasmetto il tutto che io so, ti rendo pari a me. Imparare si dice 'nsignari, per cui, se io imparo, praticamente mi insegno, faccio un ripasso del tutto che so. Scrive Giuseppe Tomasi di Lampedusa: “i siciliani non vorranno mai migliorare per la semplice ragione che credono di essere perfetti. La loro vanità è più forte della loro miseria”.

Un esempio illuminante: mio nipote Simone risale qualche giorno fa da Catania e mi racconta di quattro ragazzi dello Sri Lanka, visti giocare a cricket in una piazzetta. Un vecchio, seduto sotto la veranda di un bar a sorseggiare una gazzusa Ciappazzi, chiama i piccoli cingalesi e pretende di istruirli su come tenere la mazza e su come lanciare la pallina.

 

Quando nasce un bambino/a in Sicilia di lui/lei si sa già tutto a 10 minuti dal taglio del cordone ombelicale. Innanzi tutto il nome: in primis quello del nonno/a paterno/a. Se il nome è già stato assegnato a frati o sore, si ripiega su nonno/a materno/a. Se anche la seconda opzione è impraticabile, si passa a zii/zie. L'appellativo deve essere inderogabilmente made in Sicily. Non è che può infiltrarsi un nome del continente o, peggio della Germania/del Belgio/della Svizzera. (Per cui non credete a una ragazza sicula che dice di chiamarsi Jennyfer: sulla carta d'identità c'ha scritto Gesualda. E Carmen nel registro comunale è Carmela. E Dory è stata battezzata Maria Domenica).

Il padre, mentre guarda insieme alle zie la culla del neonato masculo, constata: -Faccia intelligente chistu cacaniuri. Bùono, che studiasse da dottore- E la prima zia aggiunge: -Sposasse pure la figlia del capitano Cucuzzella, nata ieri- E la seconda zia garantisce sul pedigree: -I Cucuzzella hanno pure due figghi masculi-

Prima ancora di attaccarsi al seno il bebè ha già curriculum vitae, stato di famiglia e, soprattutto, sa come chiamerà i suoi figli.

 

IL NONNO

 

A Catania mio nonno Rosario abita dietro lo stadio, quello da cui Sandro Ciotti esclama, nel 1961, Clamoroso al Cibali! Alloggia all'inizio di via Galermo, una strada di km e km che, dopo aver solcato carrubeti che sequestrano monasteri o aranceti che circondano ville barocche, si spegne tra le ville abusive dell'Etna. La casa giallastra ha la portafinestra d'accesso a metà di un balcone fronte-strada. Una rampetta sale al terrazzino, chiuso da ringhiera panciuta in ferro battuto.

Il nonno ha occhi azzurro ciano/zero capelli/guance cadenti da mastino. Ultraottantenne, ogni mattina sale sul Motom col manubrio alto, Easy Rider trinacrio. La coppola confina con le sopracciglia. Il nonno va alla piscaria di Porta Uzeda. Il pisciaru di fiducia è Orazio, 'u stabburutu (lo smarrito), che da bambino si perde tra i banchi e l'intero mercato si mobilita per ritrovarlo. Nonno rincasa con fette di pesce spada grandi come mani di Gianni Morandi/o con triglie rosate/ o con anciove snelle (dal catalano anxova, acciuga) /o con palamita da grigliare/o con lumachine di mare da profumare alla menta/o con ricci violacei. Nonno porta anche sberge (pesche noci)/racina (dal francese, uva)/fette di anguria/lumie (limoni) da mangiare col sale.

 

TERZO CONCETTO CHIAVE

 

Il tempo verbale più usato in Sicilia è il passato remoto, spesso con intonazione reboante. Anche se un'azione si svolge al presente, la descrizione è fatta al tempo andato. Supponiamo che io mi spaventi perché un geco mi cade sulla testa: il nonno mi chiede: -Ti scantasti?- Oppure se nonno mi  ha appena raccontato una storia, la sua verifica è: -'U capisti?- E se stanno bussando alla porta la domanda è -Cu fu?-

Un altro tempo verbale abbastanza praticato è l'imperativo. Il saccente siciliano comanda per natura e allora scattano le intimazioni: Susati!/Assittati 'ddocu!/Acchiana!/Scinni!/Amuninni!/Pigghialu!. Se, giocoforza, occorre essere gentili, allora ci si affida al congiuntivo imperfetto: S'accomodasse/Trasisse/Mi scusasse.

La mancanza del presente dà alla vita la dimensione del sogno. Se il tempo fu e se qualcosa comunque accadrà, allora vige lo stato onirico.

 

QUARTO CONCETTO CHIAVE

 

In Sicilia l'Essere in cima alla scala evolutiva è il masculo. Il masculo, oltre all'onniscienza, ha la forza di un dio greco. Avere figli maschi è attestazione pubblica di vigoria divina. Se uno ha tre figli masculi il suo sperma è di serie A, meritevole d'essere custodito in una banca del seme. Se uno ha invece tre figlie femmine i suoi spermatozoi sono da frocio. Se uno non ha figli, è una minchia piena d'acqua.

Il masculo siculo si caratterizza per il più alto tasso al mondo di testosterone, ormone che potrebbe addirittura essere brevettato come TESTOSTERRONE. Già a un metro dal masculo si ode lo steroide gettarsi nel sangue col fragore delle cascate dell'Oxena. Poi l'ormone obbedisce a un moto ondoso che lo spinge e lo ritrae, e lo rispinge e lo ritrae. Un altro rumore percepibile a breve distanza dal siculo è la risacca dell'ormone, la quale si accompagna al sospiro: spinta e inspirazione/ritiro ed espirazione.

Il testosterone, va da sé, alimenta una osSEXione. Cognomi molto diffusi in Sicilia rimandano a organi sessuali: Fichera/Favadoro/Favarotta/Ficarra/Ficarazzi/Fallico/Figuccia. Dalle parti di mia mamma, Modena, le anagrafi sono piene di Muratori/Fabbri/Calzolari/Barbieri/Fornaciari/Pellicciari/Vaccari/Zappaterra. (Qualcuno obietta che in Sicilia è frequente il cognome Zappalà? Zappalà deriva dall'arabo izz-bi-Allah, “potenza di Allah”).

 

ZIA ANNA

 

Zia Anna è la primogenita di nonno e di nonna Agata, che somiglia a Frida Khalo. Viene al mondo con un gemello che muore nel parto. E qui il nonno senz'altro si sconcerta: possibile che il masculo forte soccomba e la fimmina debole sopravviva?  Il nonno si mette subito di buona lena per il concepimento del masculo: il secondogenito è Giuseppe. Coi neuroni ostaggio dell'ormone, il nonno persevera e la terza nata, ahi!, è Giuseppina. A questo punto nonno redarguisce gli spermatozoi e li costringe a cooperare al quarto figlio, un masculo, Paolo. E per mettere tutto in chiaro, in zona Cesarini, arriva meu patri, che sigilla il risultato sul 3 a 2. Il fatto che mio papà si chiami Salvatore la dice lunga.

Nonno rimane vedovo presto e zia Anna è costretta ad occuparsi esclusivamente del padre, una sorta di vestale. Zia non esce se non per andare alla chiesa, a 100 metri da casa. Mai uno zito, mai un viaggio, mai una passeggiata per via Etnea. Zia ha capelli grigi, grossi come bucatini e rigirati in un tuppu (treccia) fissato in cima alla testa. Porta occhiali con montatura nera, leggera ed elegante. Indossa sempre, anche mentre cucina, camicette color peltro/ben tagliate/coi colletti ricamati. Ha voce ringhiosa, soprattutto col nonno, ma, quando mi vede, mi dice -Ciao, gioia- (e sorride così dolce che io sento che davvero prova felicità).

Mio papà è il solo che sottrae zia alla segregazione. Ogni pomeriggio ci carica tutti, mamma/figli/zia sulla 128 (sì, siamo in 6, ma in Sicilia non esiste l'omologazione dei posti. Nell'auto si sta, uno in braccio all'altro, fino a che gli sportelli si chiudono: una 128 trasporta comodamente 9 persone). E così, con mio padre sciaffarru (dal francese, chaffeur), si va per paesi aggrappati al vulcano, sul lungomare di Acicastello, sulla scala di Caltagirone, a Paternò e a Siracusa. Oppure si parcheggia in centro, a piazza Stesicoro, e ci si siede da Rocco Privitera, a gustare una inebriante granita al limone.

 

TASK FORCE DI MADONNE

 

Zia Anna prega giustamente più Madonne: se una è oberata di richieste, un'altra Bedda Matri può intervenire. Zia si rivolge alla Madonna della Vena, icona bizantina del VI secolo/volto paffuto e aureola d'oro splendente/nel santuario di Piedimonte Etneo. Oppure zia interpella la Madonna della Sciara, statuetta rinvenuta intatta nel 1705 sotto 10 metri di lava (il simulacro è nel santuario di Mompileri). Oppure zia si orienta sulla Madonnina dell'Ognina, domiciliata in una chiesetta che guarda il porticciolo, in testa al borgo marinaro che si gonfia alle sue spalle.

La prima statua della Madonnina ogninese brucia nel 1889 per le candele devozionali lasciate accese. Componenti della nobile famiglia Marano, residente a 40 metri dalla chiesa, si recano allora in carrozza a Parigi, alla bottega dei fratelli Delin, famosi scultori e incisori. Creata in un mese dai maestri francesi, la nuova Madonnina lignea viene trasportata sullo stesso cocchio del viaggio di andata. E giunge alla periferia catanese. Da allora la Madonnina è anche chiamata Bammina (Bambina), per il fatto che nel tempo tra la Madonna carbonizzata e l'insediamento della statua francese, la nicchia dell'abside è riempita con Sant'Anna, mamma di Maria che culla la figlia in fasce.

L'8 settembre è il compleanno della Madonna e a Ognina si tiene una festa di tre giorni. La brigata della 128 è sempre presente nei tardi pomeriggi. Le casette bianche del borgo hanno le portefinestre tappezzate di annunci funebri: “Ci ha lasciati in una valle di lacrime lo zio Alfio”/”Piangiamo addoloratissimi nonna Cettina”/”Singhiozzanti lamentiamo la scomparsa del cognato Pippo” (sorge il dubbio che aprendo quelle portefinestre si possa essere travolti da un torrente). Sul lungomare le palme danzano con lo scirocco. Uno sceccu è legato a un tronco. Gli oleandri rosa si sporgono dal marciapiede come per fare l'autostop. Giare sparse invasano cespugliotti di bouganville viola. Dall'altro lato strada mi inquieta sempre la bottega dei pupi siciliani, con Orlando dagli occhi fissi e cerchiati.

Sul muretto che limita la spiaggia sono assittati i masculi, in molte variabili sicule. C'è l'africano, basso/carnagione Amaro Averna/attaccatura dei capelli poco sopra le sopracciglia/baffi da questurino. C'è il normanno, alto/occhi di un blu ultraterreno/biondiccio/viso angoloso. C'è l'ebreo, naso pronunciato e a dorso convesso/labbra spesse/borse sotto gli occhi. C'è il greco che pare lo stampo di George Clooney. C'è l'arabo, sorriso malinconico/barba che non si rade mai a fondo/occhi neri che sembrano contornati dal kajal. I masculi sono impregnati di testosterone e, quando arrivano le donne, taliano/mormorano sticchiu e pacchiu/si arrittano sotto i causi (pantaloni).

Le donne sono un'ondata di MariegrazieCucinotte, di ClaudieCardinale, di Malene, di DiletteLeotte,

di FrancescheChillemi, di MiriamLeone, di EveRiccobono. Le donne intrigherebbero Luchino Visconti, vestite di nero/un po' scollate/gonne moderatamente strette/pelli luminose come strofinate con creme a base di luna (la sola donna che non è in nero è mia mamma, dentro uno chemisier verde smeraldo che si è fatta con Singer e cartamodello Burda). Le donne taliano di sguincio, ma taliano.

 

LA MADRE DI MARIA

 

Il 9 settembre, all'imbrunire, la Madonnina esce dalla chiesa per una processione lungo le stradette di Ognina. L'edificiu sacru ha facciata rosso scuro, con due oblò che paiono gli occhi di un mostro. Al sagrato, con una coppia di cipressi che fungono da corazzieri, si accede tramite una dozzina di scalini. Zia Anna è sempre su quei gradini, accalcata tra donne e ragazzini che vogliono per primi seguire la statua. Zia è total black: longuette nera ad altezza polpaccio, camicetta nera, cappellino nero con veletta, scarpe nere con tacco 4 (da 4 in su il tacco è da bottana). Io sto accanto a lei, causi corti e maglietta verde menta.

In strada è pronta la banda. Dalla chiesa vengono fuori i bambini, con ali di cartone bianco che li accomunano ad angioletti. Quindi scendono le scale una decina di suore sbilenche. Poi tocca agli uomini anziani, un campo di coppoledde antracite. Poi si mostrano quattro chierici giovani e il prete, fulgente nei paramenti candidi. Sale il canto Si chiù bella di na rosa.

Il 9/9/1969 la Madonna esce sulla vara, il fercolo che poggia sulle spalle di 5 portantini a destra e 5 portantini a sinistra. I reggivara sono di mezz'età, in camicie celesti. La Madonna ha veste zaffiro, sottomessa in alto ad uno sciallone rubino/il copricapo è esagerato, massiccio, dorato/il cerchio di stelle parte dalla nuca e lì si conclude. La Madonna ha un'aria distaccata (….è stata scolpita dai francesi). Gesù, retto col braccio sinistro, sorride come un bambino di 8 mesi che goda della vicinanza della mamma.

I portantini scendono i gradini, ma uno s'inciampa, cade, depaupera il sostegno alla vara. I reggivara dello stesso lato barcollano. La Madonna oscilla ampiamente, senza perdere l'aplomb français. Poi deraglia a destra e precipita sulle donne, buttandone a terra una quindicina. La Madonna si ferma su una collinetta nera, ansimante nella trentina di minne (mammelle) abbattute.

Zia Anna è in cima al monticello di fimmine supine: abbraccia la Madonnina che, grazie al cuscinone morbido di tette, non riporta alcun danno.

Ed io capisco: mia zia si chiama Anna, lei salva la Madonna, lei la custodisce in una stretta affettuosa, lei la difende dalla malaccortezza umana. Mia zia, vergine, è la madre della Madonna.

 

NA VASATEDDA

 

Un bacio, zia Anna, presso qualunque Madonna ora tu sia.

E a voi, gentili lettrici e cari lettori, bacio le mani.