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TESTO DI

Valeria Mele

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Fdchirico / CC BY-SA

La Sardegna dei poligoni

Il 61% delle servitù militari italiane in una delle isole più belle al mondo

È ormai profondamente radicata nell’immaginario collettivo la visione di una Sardegna dalle incredibili spiagge immacolate, panorami mozzafiato e ambìta meta turistica. Tuttavia, si conosce ben poco di un costante e triste risvolto: la massiva occupazione militare italiana nella regione. Al fine di rinsaldare l’alleanza atlantica nel dopoguerra, la Sardegna è stata teatro di costruzione di basi militari e poligoni, alcuni di questi sconosciuti ai più nella loro ubicazione. Il 61% delle servitù militari italiane risiede ancora in Sardegna, come anche tre dei più importanti poligoni d’Europa, (rispettivamente Quirra, Perdasdefogu e Capo Frasca), con conseguenze sul piano ambientale, salutistico e politico. Dal punto di vista ambientale, numerose indagini attestano che circa 135 mila ettari siano interdetti alla popolazione, più di 800 ettari inquinati, con elevate concentrazioni di numerose sostanze inquinanti tra cui l’Uranio impoverito e il Torio 232. Per bonificare alcuni siti inquinati, come quello di Quirra, si stima siano necessari circa 248 anni. Inevitabile, dunque, un serio impatto sulla salute, in luoghi in cui le sperimentazioni tra aria, acqua e terra mietono vittime in costante ascesa. Si parla così sempre più spesso della “sindrome di Quirra”, con una lunga scia di decessi (sia di civili sia di militari), elevati tassi di incidenza di tumori nelle zone in prossimità dei poligoni e animali affetti da malformazioni congenite. Incredibili a tal proposito, immagini di agnelli nati con due teste e occhi nella parte posteriore della testa, come riportato dalle recenti indagini di Asl, Arpa e altri enti di monitoraggio sardo.

Sebbene i presupposti che portarono a fare dell’isola un fondamentale punto strategico siano oggi venuti meno, possiamo osservare che la maggior parte dei test militari avviene ancora sul suolo sardo. Triste evidenziare, inoltre, un’iniqua distribuzione a livello nazionale delle truppe militari, che vede la Sardegna in testa, a seguire il Friuli Venezia Giulia e solo poi il restante territorio italiano.

Il proliferare di basi (accessibili anche ai privati per le proprie sperimentazioni) e l’occupazione militare permanente tentano di offrire, ad una regione caratterizzata da una seria depressione occupazionale, canali di riscatto lavorativo. Nella realtà dei fatti, la produttività sarda non trae cospicui benefici in termini occupazionali e produttivi. Unica nota positiva, una crescente richiesta di informazione e interesse per questo importante problema, con diversi tentativi di sensibilizzazione e mobilitazione da parte di movimenti sociali ed intellettuali, efficaci nel proporre metodi di risoluzione. Smilitarizzazione dell’isola, ridistribuzione delle truppe militari in tutta la penisola in modo equo, misure di contenimento all’inquinamento e bonifiche sono tra le soluzioni proposte. Nonostante questo, ad oggi pare non ci sia una pronta risposta politica che possa riscattare un’isola ricca di potenzialità che vanno ben oltre l’attrattiva turistica.