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TESTO DI

Carlo Mantovani

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(official site)

David Rocco, al servizio del potere (del cibo)

Per lo chef italocanadese cibo e famiglia vanno bene insieme

Ho conosciuto David Rocco, cuoco canadese di origini italiane, nel 2017, quando su Sky andava in onda “Dolce Napoli”, una serie di documentari sulla cultura enogastronomica napoletana. Non era il solito programma, in cui si intervistano i produttori, o si spiegano le ricette: ogni puntata trasmetteva un clima rilassato e genuino, di grande e autentica familiarità. Una specie di inno catodico al poter sociale del cibo, capace, attraverso l’irresistibile seduzione del gusto, di riunire intorno ad un tavolo famiglie normalmente divise dal lavoro e persino di far dialogare culture diverse.  Un dialogo che il nostro David ha intrapreso personalmente, allargando i suoi orizzonti gastronomici a paesi poveri, ma ricchissimi di sapori, come l’Africa e l’india. Era da tempo che mi ripromettevo di intervistarlo e quando finalmente si è presentata l’occasione, ho avuto la conferma che la mia prima sensazione, di essere davanti ad un innamorato del cibo e ad uno straordinario ambasciatore senza frontiere del suo immenso potere, erano del tutto fondate.

 

Tra poco parte il tuo nuovo programma, Dolce Italia: secondo te, quando gli Italiani dicono che la loro è la cucina migliore del mondo, hanno ragione?

Se non è la migliore, cosa che personalmente sarei portato a confermare, è certamente una delle più interessanti del mondo. Sono stato fortunato ad avere la possibilità di viaggiare in tutto il mondo, venendo a contatto con straordinari piatti e culture, e posso assicurarvi che nessun altro paese può vantare ingredienti di così grande qualità e una cucina così varia e squisita: dal preziosissimo e inimitabile olio d’oliva all’incredibile sapore dei pomodori e della profumatissima frutta di stagione. L’Italia, diciamolo, è una terra benedetta dagli dei della’alimentazione ed ha avuto in dono i migliori ingredienti del globo: un dato di fatto che credo nessuno possaò mettere in discussione. 

Magari il cibo italiano non è il più buono del mondo, ma di sicuro è il più imitato, tipo il Parmigiano chiamato Parmesan o la Cambozola, che sarebbe il Gorgonzola: da Canadese di origini italiane che cosa ne pensa del cosiddetto “Italian sounding”?

Guarda, io sono convinto che l’imitazione sia il miglior complimento. Io credo il cibo italiano che sia imitato e copiato proprio perché è amato e ovunque. In ogni città dle mondo, anche nelle località più remote, trovi sempre ristoranti italiani e cibo italiano: e questo perché è squisito e piace a tutti e la maggior parte delle ricette richiede pochi ingredienti, quindi non è difficile da cucinare (che poi sia cucinato a puntino, è un'altra questione). Certo, il fatto che i nomi di alcune eccellenze italiane siano stati americanizzati non è una bella cosa, ma questa è una cosa che non si può cambiare e sono i consumatori ad doversi informare per non prender fregature. Che poi, in realtà, quasi tutti conoscono la differenza tra un prodotto autentico e un’imitazione: ma il prezzo inferiore spinge tanti a scegliere l’imitazione.

Dato che televisivamente ti ho conosciuto con Dolce Napoli, parliamo di pizza: che ne pensi della pizza gourmet, é vera pizza o sarebbe meglio definirle schiacciate condite?

Ovviamente essendo un Canadese di origini napoletane a me piace la pizza vera, quella Napoletana “doc”: e vi assicuro che in giro ci sono un sacco di posti dove la pizza viene fatta come Dio comanda: e io, scherzando, dico sempre che è perché ci sono immigrati napoletani in tutto il mondo. Personalmente non ho nessun problema ad accettare la pizza gourmet e le tante variazioni e innovazioni della semplice Margherita. Il problema, caso mai, è quando vengono aggiunti troppi ingredienti, come una dose extra di formaggio o farciture che impediscono di percepire il sapore dell’impasto, che è la base della pizza.

Ancora pizza: in questo momento mi sembra ci sia una grande attenzione, che a volte diventa ossessione, per l’impasto e si vedono, sempre più spesso, pizze con grandissimi cornicioni e pochissimo condimento: non si rischia di confondere il pane con la pizza?

Beh, sì: perché se la crosta è troppo grande non resta spazio per il condimento. Ma come ho detto nella precedente risposta, bisogna stare attenti a non cadere nel problema opposto: sfornando delle pizze così zeppe di condimenti che si finisce per perdere il sapore dell’impasto. La verità è che una buona pizza dev’essere prima di tutto equilibrata, bilanciando gli elementi essenziali: l’impasto, la crosta e la farcitura.  Ne discende che una pizza con troppa crosta è sbagliata tanto quanto una pizza con eccessiva farcitura. Insomma: è tutta una questione di equilibrio.

Se non sbaglio, quello del nuovo giudice di Masterchef Italia Giorgio Locatelli è il primo ristorante italiano all’estero (Londra) ad avere una stella Michelin: tu che vivi in Canada e giri il mondo, la cucina italiana all’estero è davvero così improvvisata e deludente?

Credo che la caratteristica semplicità che contraddistingue la cucina italiana, abbinata al fatto che osterie e trattorie offrano piatti tradizionali, abbia generato la convinzione che il cibo italiano sia davvero soltanto pizza e pasta: e per certi aspetti è questa l’immagine che il marketing propone nel mondo. Ma il problema più grande, a mio parere, è che gli ingredienti di prima qualità che servono per raggiungere il livello da stella Michelin non sempre sono disponibili come in Italia. Ad un ristorante che ambisca ad una stella, quindi, serve vincere questa sfida: reperire materie prime adeguate. E forse questo è il motivo per cui le trattorie preferiscono stare sul semplice.

Cosa ne pensi dei foodies, cioè la mania di fotografare i cibo? Bisogna vietarli o è un segno di interesse che fa bene al mondo della gastronomia?

Per quanto mi riguarda, vedere questi foodies e blogger ossessionati dai like, che le tentano tutte pur di attirare più attenzione verso le proprie pagine, sui social media, comincia essere fastidioso e anche piuttosto triste. Triste perché si costruiscono piatti esageratamente pieni e colorati, che molto probabilmente non sono buoni - e secondo me vicini al disgustoso, al solo scopo di catturare l’attenzione altrui. E il vero problema è che questa perversa strategia di marketing virale, alla prova dei fatti, funziona. Ti faccio un esempio: di recente, su Instagram, ho visto la foto di un hamburger farcito con pasta e mozzarella, con la carne impanata e fritta e, ciliegina sulla torta, un mozzarella intera piazzata in cima al panino. Una cosa di proporzioni mostruose, impossibile da mangiare e, ripeto, complessivamente disgustosa: eppure aveva oltre centomila likes e più di duecentocinquantamila visualizzazioni.  Sappiamo tutti che un buon hamburger, o una buona pizza, in realtà, dovrebbero permetterti di percepire tutti i sapori: e invece questi continuano a sovraccaricare a mischiar in modo indecente solo per colpire l’immaginazione dei navigatori.

Cibo e tv. Un famoso scrittore statunitense ha detto che i talent show culinari, da Masterchef in avanti, sono come il porno: non aumentano il sesso tra le persone. Secondo te è vero che fanno bene soltanto allo share televisivo, o sono anche capaci di diffondere la cultura enogastronomica?

Sembra che il nostro amico abbia ragione: le statistiche dicono che non si sono mai guardati tanti programmi televisivi sul cibo come in questo periodo e che, guarda caso, non si è mai cucinato così poco.  Ma è anche vero, da’altra parte, che la gente oggi risulta complessivamente più informata sul cibo: tecniche alternative di cottura e preparazione dei piatti, abbinamenti insoliti tra ingredienti, culture gastronomiche diverse. Anche se poi, in genere, non mette in pratica quello che vede e apprende, è innegabile che il pubblico televisivo stia imparando, maturando una consapevolezza, conquistando un’apertura mentale. Voglio sottolineare, comunque, che bisognerebbe distinguere i programmi di informazione sul cibo, quelli in cui si propongono ricette e si spiegano procedimenti, che davvero aiutano a diffondere la cultura enogastronomica, da soliti talent show culinari, competizioni un po’ troppo artificiose che spesso sacrificano la tecnica in nome dello spettacolo.

Nei tuoi programmi hai visitato paesi poveri come l’Africa e l’India: che ne pensi del progetto dei Refettori antispreco che lo Chef pluristellato Massimo Bottura  sta aprendo in tutto il mondo?

Massimo, secondo me, sta facendo un lavoro fantastico, che dimostra il grandissimo potere del cibo, capace di unire le persone, indipendentemente dalla classe sociale di appartenenza. Io penso non si possa non applaudire e sostenere uno chef di grandissima fama come Bottura, che nonostante gli impegni si dà da fare e organizza un’iniziativa del genere in tante importanti città del mondo. Ogni giorno, sul nostro pianeta, vengono gettate tonnellate di cibo e noi, come chef dobbiamo fare di più affinché il cibo venga recuperato e offerto alle persone che non ne hanno.  Facile da dire, ovviamente, ma purtroppo c’è l’ostacolo della burocrazia: col paradossale risultato che oggi è più semplice buttare via il cibo che metterlo a disposizione di chi, invece ne avrebbe bisogno.

Una costante dei tuoi tv show è la presenza della famiglia a tavola: in una società che tra lavoro e smartphone ci divide sempre di più, il cibo è ancora in grado di unirci?

Mangiare insieme è un’esperienza fondamentale: il cibo mette insieme le persone.  Sedersi intorno ad un tavolo, ancor oggi, è il maggiore e più potente strumento per unire e fare dialogare le diverse culture. Io, che sono cresciuto in Canada, ma in una famiglia di origini italiane, con mia madre che invitava i nostri vicini a cena, ho sperimentato personalmente questo immenso potere del cibo: dopo aver mangiato insieme si diventava più intimi e più amici. Un’esperienza straordinaria, che consiglio a tutti.

Per finire: che consiglio daresti ad un giovane che volesse intraprendere la professione culinaria?

Guarda, non ci sono particolari segreti da svelare, qui: bisogna rimboccarsi le maniche e impegnarsi al massimo, con costanza e passione per il cibo, con l’unico obiettivo di servire del buon cibo alle persone che lo chiedono.

Non ci si può avvicinare al mondo della ristorazione per arrivare in tv, diventare famosi o aumentare i propri followers. Il problema – e lo dico a rischio di apparire di vecchio stampo – è che molti ragazzi non accettano il sacrificio necessario per svolgere questa professione, che è difficile, pesante e richiede tanta gavetta. Purtroppo Tv e social media, negli ultimi anni, hanno dato un’immagine distorta del mondo del lavoro: come se si potesse diventare delle star da un giorno all’altro, senza impegnarsi, senza imparare. Quando invece sappiamo benissimo che alla fine le cose essenziali per avere successo sono sempre le stesse: passione, amore e, last but not least, farsi il mazzo più degli altri.