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TESTO DI

Carlo Maria Milazzo

Donne e Madonne del giovane Tiziano

Dalla mostra al palazzo reale di Milano

Se da bambino ti dicevano “Va' un po' fuori a giocare”, ti mettevi una palla sotto braccio e andavi al parco per organizzare una partitella. Oppure cercavi amici per una corsa, per una “strega comanda colore”, per un nascondino, per una guerra tra piccoli eserciti. Se a Tiziano fanciullo dicevano “Va' fuori a prendere un po' d'aria”, lui pigliava a solcare prati costellati di ranuncoli, tulipani e margherite. Il ragazzino tagliava corolle, steli, erbe e quando rientrava pestava, sminuzzava, macerava il suo raccolto campestre. Tiziano si fabbricava da solo i colori e mentre i suoi coetanei duellavano con spade di legno, lui disegnava e pitturava il selciato.

 

A nove anni il bambinetto affrescò sulla parete esterna della sua casa una bellissima Madonna. Era nel borgo natio, Pieve di Cadore, all'ombra di Dolomiti che avevano addosso tutta la propria gioielleria di corallo. Per il mantello blu con riflessi viola il giovanissimo artista avrà forse spremuto delle genziane trovate sui sentieri che graffiavano le montagne più vicine.

 

Il padre, il notaio Gregorio Vecellio, vedendo quella Vergine “figlia dei fiori”, capì che il rampollo non avrebbe dovuto consumarsi in studi di legge. Quel talento folgorante doveva essere curato ed aiutato a esplodere. E così, pochi mesi dopo, Tiziano venne mandato a Venezia, a bottega da un mosaicista e poi dai fratelli Gentile e Giovanni Bellini, pittori ufficiali della Serenissima.

 

Venezia alla fine del 1400 era una delle città più ricche e popolose d'Europa e vide il passaggio di grandi pittori quali Leonardo, Michelangelo, Durer. Altri ottimi artisti, come si deduce dalla mostra allestita a Milano nel Palazzo Reale, vi lavoravano in pianta stabile: tra questi, Cima da Conegliano, Lorenzo Lotto, Carpaccio, Sebastiano del Piombo. Tiziano assorbì qualcosa da tutti anche se l'influsso più importante sulla sua formazione fu quello di Zorzi da Castelfranco, universalmente conosciuto come Giorgione.

 

Tiziano frequentò la bottega di Giorgione e dopo un noviziato da ritoccatore venne promosso ad una attività di coppia, per la decorazione del ristrutturato Fondaco dei Tedeschi. Giorgione, pur con la malavoglia del vero artista che si ritiene sempre il migliore di tutti, arrivò presto a riconoscere che il suo alunno “insino nel ventre di sua madre era pittore”.

 

A ventitré anni il ragazzo del Cadore dipinse la tela del “Noli me tangere”, attualmente alla National Gallery di Londra. Nel quadro gli insegnamenti di Giorgione sono evidenti: innanzi tutto l'uso della pittura tonale, la nuova tecnica di rendere la prospettiva senza coordinate geometriche ma solo con la gradazione dei colori (nelle figure in primo piano i colori sono caldi mentre lo sfondo è affidato a colori freddi). Poi il paese rurale che irrompe in alto a destra ricorda il villaggio della Venere di Dresda dello stesso Giorgione. Quello che però già si intravede nei personaggi di Tiziano è una caratteristica inedita per la pittura e cioè l'analisi psicologica delle persone. Il saggista francese Roland Barthes ha affermato che avrebbe preferito ampiamente essere ritratto da Tiziano piuttosto che farsi fotografare dal miglior fotografo del mondo. Secondo Barthes, nel breve tempo che intercorre tra la posa e lo scatto fotografico, la persona nell'obbiettivo cerca un atteggiamento che purtroppo diventa spesso innaturale. Tiziano, disponendo di tempi più diluiti per cogliere le espressioni degli occhi o le pieghe dei sorrisi o i movimenti delle mani riusciva invece a svelare i connotati dell'anima.

 

Il quadro in questione raffigura una Maddalena inginocchiata che nel tentativo di toccare Gesù rischia quasi di cadere col mento in avanti. La bionda Maddalena ha una veste davvero immacolata, assai più bianca del mezzo lenzuolo addosso al Cristo, e la stoffa che le crea una specie di mantello è come vino che scappa con un fiotto da una bottiglia e si allarga in una pozzanghera a contatto con il terreno. Maria Maddalena, secondo il Vangelo di Giovanni, è la prima a scoprire il sepolcro vuoto del Cristo. Il suo desiderio di stare accanto al morto che ama, ebbene sì, con la totalità di una innamorata, la porta a precedere davanti alla tomba sia Giovanni, l'apostolo prediletto, sia Pietro, l'apostolo sapientone. E mentre i due apostoli dopo aver constatato la sparizione del cadavere se ne vanno, Maddalena rimane a piangere sull'entrata del sepolcro. Gesù, intenerito da quei singhiozzi, sa di dover superare la prova più grande per il suo abbandono del mondo umano: il dolore di un martirio si può anche eroicamente sopportare, ma il dolore della separazione da chi ti ama e da chi tu ami è un urlo straziante. Gesù vuole rivedere un'ultima volta Maddalena e farsi rivedere da lei. In un primo momento, per prevenire l'onda del sentimento, decide di palesarsi come giardiniere. Maddalena, con le pupille offuscate, lo scambia in effetti per un ortolano, anche perché, come si vede nel quadro di Tiziano, Gesù stringe col pugno sinistro il manico di una zappa. Ma quando Gesù chiama “Maria!”, la voce è inconfondibile e lo slancio di Maddalena per una carezza è istintivo.

 

“Noli me tangere” è allora la famosa frase del Cristo. “Non mi toccare” o meglio, secondo il testo greco del Vangelo, “Non mi trattenere”. Il calore di un contatto renderebbe impossibile un addio e Gesù deve evitare il cortocircuito dell'affetto. Tiziano ci mostra un Gesù che per scansare il tocco di Maddalena butta le ginocchia di lato e scava una concavità col repentino movimento dei fianchi: il Cristo pare uno slalomista all'ultima porta di una gara, un bambino che elude la manata dell'avversario a rubabandiera, un escursionista che si sottrae al morso di una vipera rizzatasi all'improvviso. I piedi di Gesù stanno per finire su un cespuglietto pungente e l'albero che è alle spalle del Cristo pende dalla parte della schivata, quasi a dar manforte al fuggitivo.

 

A ventisette anni Tiziano concluse il quadro di Salomè, oggi alla Galleria Doria di Roma. In una stanza scura, rischiarata da un arco che si apre su un cielo ammorbidito da nuvole bianche, Salomè regge un vassoio con la testa del Battista. Salomè, secondo il Vangelo di Marco, danza alla festa di compleanno del re Erode davanti a tanti commensali illustri. La ragazza, guance di pesca e capelli color diavolo, ammalia tutti con sensualità acerba e civetteria sbarazzina, anticipando di un paio di millenni la Lolita di Nabokov. E' allora che Erodiade, madre di Salomè e moglie di Erode, sprona la figlia a chiedere un dono al re ormai saturo di testosterone. Salomè, che già possiede vesti preziose e monili, non sa cosa domandare. Erodiade invece ha un obbiettivo che si chiama Giovanni Battista, il carismatico predicatore che l'ha rimproverata in pubblico per le sue precedenti nozze col fratello di Erode. La madre suggerisce alla sua bambina di esigere la decapitazione di Giovanni, già prigioniero del re. E la testa desiderata giunge su un piatto lordo di sangue rappreso.

La Salomè di Tiziano è bellissima ed è facile pronosticare che anche il pittore ne fosse innamorato. La modella ha un naso senza la minima inflessione, le guance truccate con un fard che pare grattato via ad un'aurora, le sopracciglia schizzate da brevi movimenti di un compasso. I capelli sono fili di rame attorcigliati intorno all'aria. Le labbra sono appena carnose e gli occhi, quegli occhi che stanno contemplando una testa mozzata, raccontano una tristezza finta ai confini della monelleria ed una noia così giovane da non poter transitare nella malinconia. Il decoltè cattura poi tutta la luce e irride la prepotenza del rosso aranciato del mantello.

La scena è completata, alle spalle di Salomè, da una servetta che sembra l'amica racchia che vive i propri sogni attraverso la vita dell'amica bella. La ragazza bruttina ha una venerazione per la compagna, ma ha pure quella cattiveria da frustrazione che le farebbe suggerire: “Questo Giovanni se l'è proprio cercata”.

 

Tiziano si immedesima senz'altro col Battista, sentendo di aver perso anche lui la testa. Mentre dipinge la sua modella sogna con tutta probabilità una fuga con lei, tirata per una mano nelle calli di Venezia fino ad una nave in partenza per l'Oriente. Ma la malizia così naturale nella ragazza gli fa capire che il suo destino è quello degli occhi chiusi di Giovanni, a nutrire un'illusione col solo cervello rimasto sul piatto.

A ventotto anni il nostro autore si dedicò all'Assunta, enorme olio su tela conservato nella Basilica dei Frari a Venezia. In quest'opera la narrazione si articola su tre registri separati: in basso sono rappresentati gli apostoli, nel centro del quadro Maria è in piedi su una vaporosa nube biancastra mentre alla sommità della composizione il Padre Eterno erompe da una balconata luminosa.

La parte alta della tela vede dunque il Creatore che però è adombrato, in controluce rispetto al giallo fulgente che pare sorreggerlo. Due soli angeli gli stanno all'altezza degli avambracci, opposti come due ragazzetti che vengano separati per impedire loro di litigare.

 

Maria è equidistante dal Padre e dagli apostoli. Indossa un manto rosso aranciato di gradazione simile a quello di Salomè. Ha un piede quasi sollevato dalla nube e le braccia levate al cielo indicano l'imminenza del volo. Una torma di cherubini festanti le fa da corona e gli angioletti giocano come bambini, chi appendendosi alla nuvola, chi saltando il lembo della sua veste, chi ciondolando col petto in fuori. Maria ha un'espressione che i manuali di storia dell'arte definiscono “estatica” ed in effetti si può concordare sull'abbandono della Madonna ad una dimensione extraumana. Ma il volto della Madonna esprime anche l'incredulità degli umili che mai si convincono di una loro elezione e come tutti gli umili nel momento di una consacrazione vorrebbero piangere per almeno due motivi: il successo insperato e la consapevolezza che quel successo li separerà dalle persone che hanno condiviso il destino della modestia.

 

La parte bassa del dipinto è occupata dagli apostoli, in pieno fermento. Le loro braccia hanno la robustezza di quelle di wrestler professionisti e molte sono protese in alto, quasi a voler lanciare in su la nube della Madonna. Alcuni guardano stupiti, altri vogliono commentare l'evento. Le vesti sono poi un vero omaggio al colore: due discepoli hanno tuniche della medesima tinta dell'abito di Maria ed è facile notare come la disposizione delle tre macchie di rosso aranciato dia luogo ad un triangolo esplosivo all'interno del quadro. Un altro apostolo ha una veste verde oliva, con vaghi riflessi zafferano. Un altro apostolo ancora ha un mantello verde giada che occulta parzialmente una veste di un bianco abbacinante. E Pietro, che sta seduto, è avvolto da un viola molto scuro, ai confini del marrone.

Tiziano ha senza dubbio onorato l'indirizzo teologico dell'Assunzione: il Creatore è in alto ed accogliente, la Madonna è sul punto di spiccare il salto verso il Padre Celeste e gli aspotoli sono colpiti dalla miracolosa ascensione. Però qualcosa di troppo particolare e di poco ortodosso deve esserci nel quadro, soprattutto sapendo che i frati francescani che l'avevano commissionato in un primo momento lo rifiutarono.

Orbene: Iddio, pur irradiato di luce, se ne sta in una penombra che sfuma i contorni, con la compagnia davvero trascurabile di due soli putti. Giù sulla Terra è invece vita pulsante, un tripudio di colori e di emozioni, un'esaltazione dello spirito di gruppo. La Madonna, allora, che porta il colore rosso aranciato degli apostoli eccitati e che denuncia forse un'insicurezza nel volto, è poi così entusiasta di salire verso una silente semioscurità?

 

E' importante ricordare che Tiziano aveva ventotto anni, che la sua bravura compiva stupende ed ammirate opere, che il suo cuore aumentava la frequenza dei battiti per qualche Salomè a passeggio in piazza San Marco, che lui, in mezzo ad apostoli chiacchieroni e gesticolanti, ci sarebbe stato a meraviglia. E magari, andandosene dalla compagnia, avrebbe ereticamente intonato il vecchio ritornello di un canto dei Dervisci: “L'inferno è qui e ora. E anche il paradiso. Smetti di preoccuparti per l'uno e di sognare l'altro”.