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TESTO DI

Pier Luigi Nanni

FOTO DI

Paolo Del Mela

Bologna “dotta & grassa”

- storia - cultura - tradizioni -

Nelle tradizioni, intrecci di memorie collettive e ricordi individuali, vivono, si sa, tutte le radici del nostro essere oggi.

La fama consunta di bologna come capitale della gastronomia legata a dimenticati o accantonati vecchi orpelli, triti e ritriti della tradizione, oggi deve passare attraverso la scienza della cucina come qualcosa di vivo e vitale, per cui indispensabile per la cultura della tavola.

Le news-generations di chefs ed addetti ai lavori, propongono al moderno cliente ricette gastronomiche che sono tra il recupero dell’esperienza di ieri e l’evidente, nonché indispensabile, necessità di rinnovarsi, senza nascondere o calpestare le proprie profonde origini culinarie. Da attenti maestri artigiani si incontrano i gusti saporiti e le delicate dolcezze della nostra rinomata buona tavola, in quanto l’estro, l’inventiva fantasiosa, l’esperienza per le cose ben fatte e l’utilizzo di materie prime rigorosamente scelte, possono preparare a regola d’arte capolavori gastronomici per la gioia, non solo degli occhi, del palato!

Situazione storica importante e da non dimenticare, riguarda il secondo dopoguerra, in cui si evidenziò la voglia di provare altre culture della tavola che ha portato, ai giorni nostri, non solo uno sfrenato consumismo ma alla fretta di tutto e per tutto, nonché una insensata distrazione che nulla ha a che fare con la tradizione e la storia della civiltà italiana ed europea.

L’arte del buon mangiare del romagnolo Artusi cade ulteriormente in disuso di fronte alle “soffici e delicate” patatine industriali, agli affettati sistemati in contenitori sottovuoto e subito pronti per l’immeritevole consumo, di ogni genere di surgelati e congelati “veloci e pronto uso”, per coloro che non vogliono applicarsi minimamente attorno ai fornelli, inoltre, l’eccessiva e troppo rapida produzione di carni sempre più pronte per l’utilizzo. Oggi, tutto corre troppo in fretta e l’essere umano non trova più il tempo per riflettere sulla alimentazione che, per non avere un’esistenza idonea alla sua dimensione ed a una vita da vivere con gusto, trascura principi morali e culturali.

Piovene, nel trattato “viaggio in italia” di inizio xx° sec. Evidenziava che “ ...Bologna e l’Emilia hanno la più ricca e celebre cucina d’italia”, per cui ne consegue che questa città è sinonimo di buona tavola, di piatti raffinati e ghiotti che saccenti buongustai sanno apprezzare.

Del resto, è accertato e noto, che Bologna acquisì fin dai primi secoli del I° millennio, la duplice e legata nomea di dotta e grassa, in virtù della forza produttiva del contado circostante e della dinamicità dei suoi snodi commerciali che permisero un costante approvvigionamento per studenti e docenti che ne animavano la vita comunitaria. Documenti del xii° sec. Riportano notizie riguardanti l’approvvigionamento dei generi di consumo: dalle verdure alle carni ed attraverso la fitta rete di canali, dal mare giungeva sempre fresco il graditissimo e ricercato pesce. Oltre alla carne bovina di provenienza romagnola, non va dimenticato il maiale per la ricchezza e la varietà dell’offerta gastronomica che si poteva trarre dalla lavorazione delle pregiate carni. Gli storici felsinei rammentano che nelle guide italiane e straniere non mancava mai un riferimento alla fama della “mortadella”.

 Dunque Bologna “dotta e grassa” fin dall’inizio della sua prosperità medievale, per la vocazione e la facilità dei transiti, alle relazioni commerciali ed aperture verso paesi diversi, al mondo accademico che le permettono di proporci una cucina sensibile alle modificazioni, produzioni ed elaborazioni provenienti da altre località purchè in grado di arricchire le tavole bandite di oltre 150 osterie e 50 alberghi che esercitavano alla fine del trecento, all’interno della possente cinta murale che ne delimitava la città medievale.

La personale realtà produttiva potè consentire lo sviluppo delle tante presenze di elevata fama culturale richiamate dall’alma mater, giungendo ben presto ad una dimensione internazionale ed eccellente a riguardo della gastronomia: su tutto, nella loro esemplarità, la mortadella, le tagliatelle ed i tortellini, in quanto vive espressioni della cucina bolognese che affondava nelle produttive radici agricole.

Negli anni ’70, per dirimere le dispute sorte tra le famiglie conservatrici del segreto per la produzione del “ripieno” necessario per farcire piccoli e sottili quadrati di sfoglia, intervenne la “dotta confraternita del tortellino” che depositò la ricetta codificata, presso la camera di commercio di Bologna.

È giusto tuttavia, come tutti i piatti della tradizione, che anche il tortellino conservi un alone di mistero e continui ad appartenere a tutte le famiglie che lo amano e confezionano con cura. Si ricordi inoltre, che la buona cucina va sempre accompagnata con vini provenienti da vitigni autoctoni legati indissolubilmente allo stesso territorio per cui, ad un ottimo piatto di tortellini in brodo ottenuto dalla cottura di manzo e cappone o gallina con tutti i suoi componenti vegetali che ne completano la piacevolezza, poichè per tradizione è così che si gustano pienamente, il pignoletto doc colli bolognesi, frizzante e secco, giallo paglierino scarico con impercettibili riflessi verdolini dai sentori fruttati e delicate note aromatiche, ne esalta i sensi nel nome di bacco.