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Falso e persino più costoso!



Il volume d’affari dell’Italian Sounding è di 90 miliardi di euro a livello globale, valore che negli ultimi dieci anni è cresciuto del 70%, e pari al triplo del fatturato dell’export italiano del settore alimentare (32,1 miliardi di euro nel 2017). Lo scrive l’agenzia di stampa quotidiana EFAnews, specializzata nei temi connessi al cibo, riferendo i dati di Assocamerestero, l’Associazione che riunisce le 78 Camere di Commercio Italiane all’Estero (CCIE).

L’Indagine 2018 sui prodotti alimentari “Italian Sounding” ha messo a fuoco due aree: Europa e Nord America. Lo studio è inserito nell’ambito del Progetto “True Italian Taste”, promosso e finanziato dal Ministero dello Sviluppo Economico per la Campagna di promozione del cibo 100% Made in Italy, e realizzato da Assocamerestero in collaborazione con 21 Camere di Commercio Italiane all’Estero.

L’Italian Sounding riguarda l’utilizzo improprio di nomi e immagini evocative del Belpaese per persuadere il consumatore ad acquistare prodotti in realtà non italiani. L’Indagine di Assocamerestero ha l’obiettivo di analizzare le caratteristiche e le peculiarità del fenomeno, osservando diversi parametri – come la tipologia del prodotto, il canale di vendita, il packaging – e valutare gli impatti sull’export dell’industria agroalimentare italiana.

Dal focus sulla tipologia dei prodotti emerge che per le due aree interessate la categoria più colpita dal fenomeno è quella della “confectionery”: il 42% dei prodotti “imitati” sono piatti pronti e surgelati, conserve e condimenti; seguono i latticini (25,1%), la pasta (16,1%), i prodotti a base di carne (13,2%) e i prodotti da forno (3,6%).
Tra gli oltre 800 prodotti Italian Sounding mappati figurano la “pizza carbonara” o la “mortadela Siciliana” rilevati in Spagna, mentre nell’area Nafta sono frequenti le storpiature come “sarvecchio” al posto di “stravecchio” o la “sopressata” che perde una “p”. Infine, in Francia e Olanda, uno speciale Limoncello viene presentato come un liquore da aperitivo.

Per valutare gli impatti economici del fenomeno è stato elaborato un indice dei costi, che misura quanto i prezzi dei prodotti Italian Sounding si distanziano da quelli corrispondenti del Made in Italy autentico. Nonostante i valori cambino in base allo Stato considerato e alla categoria di prodotto, risulta evidente che l’abbattimento di costo più forte si registra nel Regno Unito (- 69%), testa a testa con la Germania (- 68,5%) seguiti con risultati pressoché analoghi dal Belgio (-64,9%) e dall’Olanda (- 64,3%); ci si muove su tassi di risparmio più contenuti in Svizzera (- 33,9%) e in Lussemburgo (- 25%).

In alcune aree geografiche sono stati registrati dati fuori tendenza: alcune tipologie di prodotto “fake” possono arrivare a costare fino a due terzi in più degli originali. I latticini e prodotti-caseari d’imitazione italiana sono venduti in Francia e in Svizzera rispettivamente al 13,9% e al 34,5% in più rispetto all’originale. Relativamente al settore confectionery, è il Lussemburgo che registra valori anomali, con un aumento di prezzo del 18,3% rispetto al prodotto italiano; il ribasso più forte, invece, si ha in Spagna e Olanda. La Germania ha il primato per l’abbattimento dei costi maggiore per la pasta (- 47,9%), e in disallineamento troviamo, ancora, la Svizzera e la Francia, che aumentano i prezzi del 33% e del 16,6%. Per i prodotti da forno in Spagna si paga fino al 10,7% in più rispetto al prodotto autentico, mentre in Francia i costi sono più bassi di oltre il 47%.

 

 


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