TESTO E FOTO DI

Carlo Maria Milazzo

Oaxaca, l'ultimo combattimento di Pablito



Ad Acapulco lo spettacolo dei Calvadistas

Il lungomare di Acapulco è stretto tra una spiaggia che sembra limatura d'oro e una palizzata di orridi grattacieli. La voce di Rosa Ocampo, in fuga da un altoparlante, avvolge un chiosco di birre Corona: “Acapulco è un sogno, paradiso tropicale, dove cantan le sirene nel loro dolce madrigale”. Pino Cacucci aspetta l'autobus che lo scarrozzi verso sud. Il tepore novembrino è delizioso.

Cacucci, classe 1955, è scrittore, bolognese d'adozione dai tempi dell'università. Il suo volto da moschettiere corrucciato è apparso su qualche quarta di copertina o fotografato accanto a quello del regista Gabriele Salvatores. Nei primi anni ‘80 documentò viaggi in Messico, attratto da quel paese come se dovesse continuarci una vita precedente. Io provai a ripetere qualche suo itinerario una decina d'anni dopo.

Un camioncino telonato si ferma davanti al Cacucci. Dal finestrino abbassato, lato passeggero, arriva la voce del guidatore: -Yo voy a Oaxaca. Si necesitas un aventòn puedo llevarte- Cacucci accetta il passaggio sapendo di dimezzare le ore del suo trasferimento.

Il guidatore, quarantenne, ha fisionomia da mexicano tipico, un incrocio di lineamenti precolombiani e di genetica spagnola. Degli aztechi ha gli occhi piccoli, gli zigomi sporgenti, l'assenza di peli, la pelle color caramello, i capelli neri come il fondo di un tegame bruciato. Degli iberici ha la tendenza a ingrassare: doppio mento, dita tozze, pancia a spingere la camicia a righe bianche/celesti.

-Armando Serrano- si presenta il mexicano.

Armando ha sguardo acquoso, da garzone di bottega un po' stupidello per lavori più qualificati. Ma, come si suol dire, l'apparenza inganna. (Avreste scommesso 10 pesos sul Chapo dopo aver visto la sua faccia da scemo del villaggio?) Dal dialogo con Cacucci salta fuori che a cinque anni Armando ha cominciato a fare il tuffatore dalle rupi di Acapulco. Il patriarca, il decano dei saltatori in acqua, lo ha portato a metà della scogliera e quando l'onda giusta si è ingrossata gli ha urlato “Ahora!”. Armando si è buttato a bomba, tenendo le ginocchia con le mani.

 

Nel mio soggiorno ad Acapulco assistetti allo spettacolo dei tuffatori ragazzini, i cosiddetti clavadistas.  Un fiordo si insinua nella Quebrada, la scogliera rossiccia, e lì l'oceano si spinge con la foga di uno tsunami alle prime armi. Un cavallone che è una zuffa di mostri bianchi si abbatte sulle rocce per poi ritirarsi rapido, come risucchiato dalle bocche di 20 balene. Il lato mancino della Quebrada è colonizzato da alberghi-alveare, i cui balconi sporgono come cassetti aperti di un comò. Io osservai lo show da uno di quei terrazzi.

Il clavadista scala la roccia sulla destra, avvolto da un mantello rosso che per metà è accappatoio e per metà muleta da torero. Quando arriva alla sommità, 45 metri, lascia scivolare la cappa. Poi si spinge sulla estremità della Quebrada, a picco sul mare che in un attimo è profondo 25 metri e quello dopo neppure 2. Il tuffatore invoca una benedizione a mani giunte anche se sa che potrà contare soltanto sul suo professionismo e non sull'aiuto di Dio. Il silenzio cala tra il pubblico e si sente solo il mare schiaffeggiare gli scogli e subito avvolgersi in un rumore di gorgo.

Il clavadista si lancia a braccia aperte. Rimane sospeso come un angelo saldato al cielo. Poi piomba giù in obliquo e s'infila nell'acqua ribollente come un ago in una stoffa bianca e cedevole. Quando la testolina riappare dai flutti litigiosi esplodono appalusi e grida.

 

Armando ha fatto il clavadista fino a 16 anni, età in cui diventi vecchio per quel lavoro. A 24 anni ha sposato Manuela, ceramista di Oaxaca, ed è andato a vivere nella città di lei. Sono nati due figli, Mateo, oggi quattordicenne, e Cristina, di 9 anni.

Il cassone del piccolo camion trasporta una dozzina di scatoloni. Armando rivela che imprigionano galli, silenziosi perché ipnotizzati dal dondolio dell'automezzo. Il nuovo mestiere di Armando è allevatore, ma soprattutto entrenador (addestratore) di galli da combattimento. Ad Acapulco ha portato i suoi pennuti in trasferta, per scontri a una festa popolare.

A questo giro Armando ha perso solo due galli, le cui morti gli provocano un bel po' di malinconia. Per fortuna ha vinto il suo duello il gallo Pablito, che non viene dalle selezioni responsabili di volatili crudeli e robusti. Pablito è stato rubato dalla piccola Cristina dal recinto di un ristorante, laddove era destinato a un arrosto con patate. Cristina racconta che il gallinaceo l'ha fissata piegando appena il capo di lato e la bambina ha letto in quell'occhiata una richiesta di aiuto. Ha scavalcato lo steccato, ha preso Pablito in braccio e lo ha portato fino all'allevamento di papà.

Cristina e Pablito sono diventati amici inseparabili. Quando la bimba va a scuola il gallo la accompagna fino all'entrata. Quando lei gioca con le amichette lui guarda il gruppo da un trespolo. Spesso i due mangiano insieme, granaglie lui e zuppa di pasta/fagioli lei.

Nonostante l'assenza di pedigree e malgrado l'affetto della figlia, Armando ha visto in quel gallo grandi potenzialità battagliere. Era grosso ma si muoveva rapido, sembrava sempre concentrato su quel che accadeva intorno, guardava con fare minaccioso tutti tranne Cristina. Appena giunto all'allevamento si era lanciato contro le gabbie dei galli giovani e contro quelle dei sementales, i galli deputati alla riproduzione. Aveva scambiato beccate violente tra decine di sbarre.

E poi Pablito era bello da esibire, un fagotto di piume bianchissime con due lunghi sbaffi cobalto sulle ali e un ciuffo rosso per coda. Così Armando lo ha aggregato alla sua legione di combattenti.

 

La strada costeggia il Pacifico che a volte si gonfia in onde grandi per poi spianarsi per svariati chilometri. L'asfalto si deteriora allontanandosi da Acapulco e i sussulti dell'autocarro diventano frequenti. I galli ammortizzano di sicuro con lievi flessioni delle zampe. Dopo un paesino bianco semidiroccato il camion viene fermato a un posto di blocco. Una jeep con mitragliatore occupa una piazzola. Un giovanotto, elmetto/pantaloni mimetici/stivali/maglietta con scritta Policia Judicial, punta il fucile sul parabrezza. Armando scende e va a slacciare il telone del furgone. Apre gli scatoloni per mostrare che contengono solo pollame. Il passaporto del Cacucci viene sfogliato e risfogliato, lentamente. Ripartiti, Armando dice che la polizia cerca armi di contrabbando, ma anche missionari/ribelli/studenti che intendano accendere focolai di rivoluzione.

 

Per non far cadere la conversazione, Armando racconta gli esercizi fondamentali per l'allenamento di un gallo. Sono tre: 1) la corsa, che gli si fa compiere tenendolo per i fianchi in modo da renderlo elastico ma anche saldo sulle zampe 2) il batter d'ali che si ottiene trattenendolo per la coda, col fine di restituirgli una minima capacità di volare 3) il salto da un banco di un metro e mezzo su cui il gallo deve ritornare: così il futuro belligerante impara il balzo per planare sull'avversario. A un anno di età al gallo viene tagliata la cresta che potrebbe essergli strappata in combattimento. Gli sono mozzati anche gli speroni, due punteruoli d'osso, che causerebbero ferite nei match d'allenamento.

Cacucci si addormenta e viene svegliato, come da richiesta, a Puerto Escondido, dopo 370 Km. Lì, in quel prototipo di eden, Cacucci vuole ritemprarsi. Prima di andarsene, Armando invita il suo compagno di viaggio alla fiesta che ci sarà tra cinque giorni a Oaxaca: verrà preparato anche il palenque, un quadrato di terra battuta, con incontri mortali tra galli.

 

Puerto Escondido si appende a una collina che affaccia su spiagge nocciola, orlate di ristorantini e chiringuitos. I surfisti apprezzano la mitica mexican pipeline, l'onda oceanica alta 6 metri. Alla mattina, al porticciolo, i pescatori sbarcano cernie/spigole/squaletti commestibili. Al tramonto il sole impiega tre quarti d'ora per scomparire sotto il mare, come un amico che sulla soglia di casa si intrattenga ancora a parlare. Se lo si contempla bevendo tequila si fa in tempo a finire la bottiglia (e all'imbrunire si urleranno poesie da confinare Octavio Paz nella letteratura minore).

La corriera per Oaxaca impiega 6 ore per compiere 250 Km, assecondando le curve sulla Sierra Madre del Sur. Cacucci la prende e guarda la vegetazione lussureggiante della costa diradarsi progressivamente, fino a censire solo agavi e cactus a organo. Il cielo è sempre più blu, come avrebbe constatato Rino Gaetano.

 

Oaxaca (si pronuncia ua'xaca) è a 1600 metri. Quando vi misi piede capii di trovarmi in un luogo benedetto, inciso via dalla terra e soltanto appoggiato ad essa. (I luoghi benedetti sono sempre separati dal globo, o con cerniere acquatiche come nel caso di Venezia, o con cortine di raggi stellari come nel caso di Parigi, o con mura d'oro come nel caso di Gerusalemme, o con girotondi di ondine e ninfe come nel caso di Salisburgo, o con trincee di violini tzigani come nel caso di Granada... o con tagli di coltelli zapotechi e notti insaporite dal peyote come nel caso di Oaxaca). Nei luoghi benedetti si respira voluttà nebulizzata, si gustano meraviglie della vita ed echi romantici di morte, si avverte un equilibrio superiore, si fanno iniezioni di sogni.

Le strade di Oaxaca sono rettilinee e ortogonali secondo lo schema della colonia spagnola. Sono fiancheggiate da case basse, di colori vivaci: senape bordato di rosso/mattone con porte e finestre blu/rosa con cornicioni aragosta. Lo spessore dei muri vorrebbe essere antisismico. Il reticolato di edifici uniformi si distende a perdita d'occhio, interrotto dalle 30 chiese rivestite in pietra cantera verde locale.

Lo Zòcalo, piazza principale pedonalizzata, è un luogo d'incanto, attorniato da un quadrato di lunghe case azzurrine o bianche che hanno porticati sia al pian terreno sia al sovrastante primo piano. Alberi frondosi, lauri indiani, l'ombreggiano in gran parte. Dove il sole filtra, ombrelloni gialli e smeraldo riparano tavolini che vengono serviti dai caffè sotto i portales (i portici). Al centro, il grande gazebo in ferro battuto di fine Ottocento, ospita ogni sera concerti dell'orchestra sinfonica. Sul lato nord incombe la cattedrale, grandiosa/barocca/fregiata da altorilievi.

 

All'arrivo di Cacucci nello Zòcalo, metà pomeriggio, si respira aria di fiesta. Venditori di palloncini trattengono grappoli variopinti, indigeni reggono sulle spalle archi di legno a cui sono appese gabbiette con pappagallini, bambine sono mascherate da farfalle, vecchie donne indie con poncho e cappello di paglia mercanteggiano tappeti scarlatti. Una mexicana in jeans e maglietta viola espone su un banchetto campane, pentole, flauti di ceramica nera (fatta con argilla barro negro). Il gazebo è occupato da  una  banda  di  chitarre/ottoni/marimba  che spande musica ranchera. Tre ballerine roteano facendo alzare le gonne fino ai glutei mentre i loro caballeros in giacca nera battono le mani a ritmo.

Cacucci fissa a un tavolino un signore calvo, con folta barba bianca, occhiali leggeri e tondi, camicia bianca chiusa fino al secondo bottone. Lo riconosce per Oliver Sacks, scrittore/medico/neuropsichiatra/chimico/ex accademico britannico. Cacucci chiede di sedersi e dalla chiacchierata Oliver rende noto di trovarsi a Oaxaca in veste di botanico: con altri universitari è venuto a studiare la flora locale, soprattutto le felci. Sacks mostra un taccuino dove sta prendendo appunti, scientifici ma anche letterari. Cacucci racconta quel che ha imparato sui galli combattenti e Sacks, che ha già assistito a incontri cruenti, si prodiga in altre informazioni.

I colloquianti ordinano due tazze di cioccolata calda, che profuma di cacao tostato e di chiodi di garofano. Sacks rammenta la leggenda di Montezuma che beveva ogni giorno 50 tazze di cioccolata, ritenendola un potente afrodisiaco. E Oliver ricorda anche la storia di quando Montezuma offrì a Cortés una tazza di cioccolata: l'ispanico restò stordito dal gusto amaro della bevanda, ma non abbastanza da non notare che la tazza era di oro massiccio.

Cacucci e Sacks passeggiano per Calle Macedonio Alcalà, oltre la Cattedrale. Le case colorate sono inframmezzate da palazzetti coloniali ingentiliti da griglie bombate in ferro, poste su finestre o come ringhiere. Sbirciando dentro alle costruzioni spagnole si osservano patii con fontanelle contornate da palme nane. Il primo grande slargo sulla destra è parzialmente riempito dal Templo de Santo Domingo de Guzman, chiesa massiccia del 1570, con convento annesso. La facciata, ornata da statue di santi domenicani, sembra compressa tra due torri di 35 metri, con cupole ricoperte di azulejos.

 

Dopo la chiesa è stato approntato il palenque, una recinzione fatta con transenne incastrate. I galli si affrontano lì e gli spettatori si assiepano intorno, in doppia fila. Sacks e Cacucci trovano un pertugio per appoggiarsi al recinto. Il caso vuole che nell'arena improvvisata entri Armando, con in braccio una palla di piume bianche striate di cobalto: è proprio lui, il gallo Pablito. Fa il suo ingresso anche l'avversario, presentato col terribile nome di Matador. E' un gallo bruno con coda nera e lo tiene sollevato uno che somiglia a un trentenne Anthony Quinn (il quale, curiosamente, di cognome faceva Quinn-Oaxaca).

Cacucci ha imparato da Sacks che, come i pugili, anche i galli sono suddivisi in categorie di peso. L'arbitro del match appoggia una bilancia su uno sgabello e gli entrenadores Armando e Quinn vi mettono sopra i propri animali. Poi l'arbitro si porta al centro del palenque e gli entrenadores posano al suolo i galli. Appena li lasciano i duellanti si avventano in uno scontro fulmineo e intenso, una prova di pochi secondi per mostrare agli scommettitori lo stato di forma e la determinazione. Vengono subito ripresi e allontanati.

Per le scommesse non girano soldi né ricevute. Basta dire una cifra ad alta voce e il nome del gallo prescelto. Un bookmaker memorizza tutto e non è mai capitato che ci siano stati errori nelle riscossioni o nei pagamenti finali. Mentre gli astanti decidono le puntate, gli entrenadores sottraggono ad astucci di legno le navajas, piccole falci affilatissime che vengono allacciate alla zampa sinistra del gallo (sempre mancino). Nel combattimento i colpi precisi di navaja alla gola o alla femorale sono mortali e abbreviano le lotte che altrimenti potrebbero essere lunghissime.

L'arbitro controlla le navajas che devono essere uguali al millimetro. Le infilza anche in un limone per disinfettarle nel caso siano state avvelenate. Quindi Armando lega il falcetto a Pablito e lo copre con un fodero di cuoio. Nel becco fa cadere poche gocce di anfetamina. Poi lecca le giunture per attivare la circolazione.

Come Sakcs aveva anticipato, entra ora in azione un nuovo personaggio, il soltador, colui che prende in consegna il gallo e decide quando mollarlo verso il rivale. Armando affida Pablito al suo soltador, un ragazzo con berretto da baseball girato. Il soltador sente lo stato d'animo del gallo col contatto delle palme e deve decidere se l'animale va spronato o calmato. Ma soprattutto deve scegliere l'attimo migliore per farlo zompare nel palenque, magari quando l'antagonista è appena atterrato ed è vulnerabile sotto le ali aperte. Un altro compito del soltador è quello di riafferrare il suo pupillo quando i galli feriti continuano a rotolare avvinghiati, senza riuscire più a saltare: riprendere il gallo infuriato è pericoloso perché i colpi di navaja possono ferire gravemente anche un uomo.

Il soltador del Matador carezza il suo competitore, lo bacia, lo spruzza con tequila perché l'alcol lo scuota dallo stordimento del frastuono. L'arbitro ordina di togliere le protezioni alle navajas. Poi i soltadores si inginocchiano e si concentrano sull'animale avversario. “Ahora!” esclama l'arbitro.

I galli vengono lasciati, quasi contemporaneamente. E' subito assalto violento, piume che si staccano e galleggiano in aria, becchi che cozzano, palline di terra sparate via, navajas che scintillano. Matador e Pablito saltano a più di un metro e mentre ricadono si beccano sulla testa e sul collo. Al suolo continuano a svolazzare per montare uno sulla schiena dell'altro. Dopo due minuti di impossibile sopraffazione, i galli, stanchissimi, si artigliano e si rotolano in un sol viluppo.

I soltadores, come da regolamento, separano i lottatori e li ripigliano in braccio. Pablito goccia sangue dalla nuca. Il Matador respira affannosamente, forse ferito a un polmone.

“Ahora!” ripete l'arbitro. I galli tornano sul terreno. Il Matador non è in buon equilibrio e cerca di riacquistarlo aprendo appena le ali. Pablito gli è addosso e lo rovescia. L'ala si apre tutta e Pablito taglia la femorale con un colpo secco di navaja. Il Matador spende gli ultimi secondi a colpire inutilmente col becco all'indietro. Pablito gli balza sulla schiena e lo finisce con tre beccate brutali.

Si alzano urla di scommettitori vincenti. Armando toglie di tasca ago e filo e sutura immediatamente

la nuca di Pablito.

 

Oltre il palenque è stata allestita una cucina all'aperto. Si possono prendere cavallette fritte da asporto. Ma ci si può anche accomodare a tavoloni apparecchiati per l'occasione. Sacks vede gli amici universitari e con Cacucci si siede accanto a loro. Tutti ordinano manzo con mole negro, una salsa fatta di 26 ingredienti tra cui peperoncino/noci/mandorle/banana/cannella/uva passa/anice/cumino/cioccolata a pezzi ecc. Tre mariachi con sombrero e chitarrine cantano la Bamba. Il cielito lindo ha già una stella albicocca come neo.

Nell'attesa dei piatti arriva Armando, seguito da una bimba dalle trecce nere che paiono inzuppate d'inchiostro. E' di certo la figlia Cristina, visto che Pablito le sta accovacciato sulla testa. Armando estrae da una borsa ricamata quattro bottiglie e le sbatte sonoramente sul tavolo. Le etichette riportano “Mezcal Reposado” e denunciano dunque liquore d'agave, 50 gradi, invecchiato un anno.

-Bisogna celebrar- dice Armando e intanto riempie abbondantemente tutti i bicchieri col mezcal dorato.

-Chi festeggiamo?- domanda Sacks.

-Celebriamo Pablito. Lui potrebbe vincere ancora tanti combattimenti, ma da domani lui diventa semental. Da domani lui si mette a fecondare galline- dice Armando.

-Un gallo può accoppiarsi fino a 30 volte al giorno- precisa Sacks.

-Cristina sarà contenta. Non dovrà più preoccuparsi per la vita di Pablito- medita Cacucci.

-Seguro-

Cacucci alza il bicchiere e gli altri lo imitano.

-Al grande Pablito- propone Cacucci.

-Por el mejor gallo del mundo- esagera Armando.

Pablito salta dalla testa di Cristina sul tavolo. Cammina lentamente, le piume gonfie, la coda ritta, guardando un po' a destra e un po' a sinistra: meritata passerella di un divo.

 

 


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