TESTO DI

Mirella Golinelli

Centenari Pittorici



Sulla scia della presentazione alla stampa, datata 2 febbraio (aperta al pubblico dal 3 febbraio al 3 giugno) della Collezione Cavallini -Sgarbi , il cui  interessante percorso è stato illustrato dallo stesso Vittorio, accompagnato dalla sorella Elisabetta e,  comprende 120 opere che si articolano nei meravigliosi saloni del Castello Estense a Ferrara, ricorderemo i centenari pittorici italiani, di questo 2018.  Agli occhi del visitatore, alcuni scrigni in avorio ed a conclusione della visita guidata - nella riprodotta “casa Sgarbi” -  la potenza del Cristo crocifisso di Gaetano Previati, passando dal capolavoro assoluto dell'aquila in terracotta, di Niccolò dell'Arca, prototipo di quella che si trova sul portale della facciata della Chiesa di San Giovanni in Monte a Bologna, per arrivare al velluto pittorico di Gaspare Venturini, preceduto dalla Cleopatra di Artemisia Gentileschi.

 

(1260? – 1318) Duccio di Buonisegna, con la sua arte, definisce il passaggio dal “bizantino” al “gotico”. La certezza della sua data di nascita, rimane sconosciuta, come tutto il periodo del medioevo, nel quale è vissuto. E' un documento del 1278 che lo identifica come pittore; mentre altra testimonianza ci arriva sette anni dopo, perché lo vede impegnato a dipingere la “Madonna” in Santa Maria Novella. Cimabue, Cavallini e Duccio “trecentisti”, si collocano tra la tradizione bizantina e Giotto (1267? - 1337). Con loro termina anche il lungo periodo dedicato alla sola rappresentazione di soggetti religiosi, di carattere cristiano. A risentire maggiormente del suo influsso, furono i concittadini senesi: Simone Martini ed i fratelli Lorenzetti. Il primo fu allievo del Buoninsegna ed a trent'anni (ovvero tre anni prima della morte del Maestro) produce la sua prima opera, “Maestà” che appare nelle sale del Mappamondo del Palazzo pubblico di Siena, come affresco. Probabilmente l'argomento “Maestà”, che divenne caro al Martini, seguiva l'idea iniziale del Duccio, il quale produsse una “Maestà” riccamente dorata che sarà posta sull'altare maggiore della Cattedrale di Siena, nel 1311: quattro anni prima di quella del Martini. Questa è l'unica opera certamente attribuita al Duccio, il quale modernizzò il potere narrativo pittorico, conferendo ai suoi “visi”, grande espressione e collocando i personaggi in uno scenario coreografico e coloristico molto raffinato. La “Madonna Ruccellai” del 1285 per la chiesa di Santa Maria Novella a Firenze, fu la prima commissione ed è rimasta alle cronache, proprio per la rinomata immensità, dell'espressione del volto. Del 1290 è la “Madonna dei Francescani” alla Pinacoteca di Siena. Dei 60 pannelli che narrano la vita di Nostro Signore che il Duccio raffigura adducendo carica emotiva al modello “bizantino”, non rimane molto; a parte quelli raccolti all'estero poiché, in Italia, sono andati perduti.

I Fratelli Lorenzetti: Ambrogio Lorenzetti nato nel 1290, con ogni probabilità è morto di peste nel 1348. La maggior parte degli storici concorda sul fatto che fu allievo del Duccio, anche se nelle sue opere predomina l'arte giottesca. Il fratello maggiore Piero, nato tra il 1280/85, secondo alcuni sarebbe morto lo stesso anno del fratello. Fra le molte fonti consultate si sarebbero ritrovati anche questi dati che aprirebbero una lunga discussione. Ambrogio (1319 – 1348) e Pie(t)ro (1305 – 1345). Pietro sarebbe più debitore a Duccio di quanto non lo sia stato Ambrogio. I suoi affreschi si possono ammirare nella Basilica Inferiore di San Francesco ad Assisi; anch'essi risentono della trasformazione apportata da Cimabue che, nel Purgatorio dantesco, viene considerato il più insigne, tra i pittori italiani, per la corposità e la naturalezza che fece acquisire ai canoni bizantini. Con diritto, Duccio, capostipite della scuola senese, venne definito il “più lirico” dei trecentisti toscani. Egli perfezionò lo stile bizantino precedente, arricchendolo di grandi spazi e, con il suo sontuoso “colore”, elargì dolcezza ai “volti”, quasi a voler donar loro un'anima.

Fonti: C.H. Weight “Duccio di Buoninsegna” - Lipsia 1911 e G. De Nicola “Mostra delle opere di Duccio di Buoninsegna”  - Siena 1912.

(1460 – 1518) Giovan Battista Cima da Conegliano, fu anch'egli celeberrimo nel Veneto. Il suo stile è la continuazione di quello dell’artista tanto caro agli Estensi, Giovanni Bellini. Il Cima nei suoi dipinti a carattere contemplativo fu in grado, attraverso la padronanza del colore, di rappresentare “veri” paesaggi.

(1518 – 1594) Prima di introdurre l'argomento “Jacopo Robusti” è bene citare le importanti fonti dalle quali è stata tratta la sua data di nascita che, non concorda con quanto si trova in rete. Ora, A. Venturi “Storia dell'arte italiana” - Milano 1929 pagg.403-616, M. Pittaluga “Il Tintoretto”- 1925, J.H Whitehouse “The Paradise of Tintoretto” - 1931 e la stessa enciclopedia Treccani convengono sia nato nel 1518  e, morto nel 1594; perciò 500 anni fa, nasceva “il Tintoretto”, il quale deve l'appellativo al mestiere paterno, di tintore. Le poche notizie che ci arrivano sulla sua vita, sono state raccolte nel 1642 dal suo biografo, Rindolfi, il quale asseriva che l'arte da lui appresa nel trattare il colore gli viene da Tiziano. Da Michelangelo, osservandone la produzione su stampa, approfondì l'interesse, invece, per il disegno; lui che nacque visse e morì a Venezia. Già dalle opere giovanili traspare un uso sapiente del colore ed una forte originalità nel rappresentare gruppi di figure che studiava, mettendo in una scatola dei modellini di terracotta e, con la luce delle candele ne analizzava il chiarore e le ombre. Successo ed entusiasmo, quindi, gli valsero l'epiteto di “Tintoretto”. Il Palazzo del Doge a Venezia, prese fuoco nel 1577 ed il Tintoretto spartì con Paolo Veronese l'importante incarico di ridare colore ai saloni. Egli celebrò ed omaggiò la sua città, spendendosi per le istituzioni religiose e per la Scuola di San Rocco, dove con effetti di luce quasi illusionistici, vengono narrate le “Storie del vecchio e del nuovo Testamento”; affreschi su pareti e soffitti che richiesero quasi 12 anni di lavoro, dal 1565 al 1587. Ancora il Rindolfi narra che nel suo studio Tintoretto, aveva apposto la seguente frase:” Il disegno di Michelangelo ed il colore di Tiziano”. Questo era il motivo per il quale riusciva a tratteggiare scene familiari di grande tragicità, utilizzando i chiaro -scuri. Fu prolifico, per via della capacità, che aveva appreso in gioventù, di dipingere con gesto veloce; la stessa dote che troveremo nel Guercino. Il “tocco di pennello veloce” quindi gli permise di collaborare, per gli affreschi di palazzo Zen, anche con il dalmata Schiavone, detto “lo Slovacco”, il quale aveva unito alla ricchezza cromatica di Tiziano la connotazione manieristica dell'epoca. Tintoretto in gioventù lo ammirò e ne ricalcò le orme. Gli argomenti mitologici che, spesso, rappresentavano giunonici nudi veneziani come la “Susanna al bagno”, diventarono componenti caratteristiche della sua pittura, così come è rappresentato nel dipinto conservato a Londra, dal titolo “L'origine della via lattea”. Nella chiesa della Madonna dell'Orto, (dove, sull'abside di destra, v'è la lapide che rimanda alle ceneri di Jacopo Robusti, sono contenuti alcuni dei suoi dipinti: “La presentazione della Vergine”, “L'adorazione del vitello d'oro” ed il “Giudizio Universale”. Tintoretto, per la sua genialità (come lo definisce P.B. Osmaton in “The art and Genius of Tintoretto” vol. II, -1915), rientra nella stretta cerchia degli artisti inventori e fantastici, i quali danno origine ad una nuova corrente dell'arte figurativa, traendo la loro ispirazione dalla realtà per fonderla con la fantasia. Una sorta di “Sturm und drang” cinquecentesco che, vedendo esaurite le possibilità stilistiche, crea un nuovo ciclo decorativo. L'impronta tintoresca allarga la visione troppo restrittiva dei pittori che l'hanno preceduto, permettendo allo sguardo di librarsi al di fuori di schemi preconfezionati, per immergersi meravigliato nella proporzione illuminata di quegli effetti che El Greco (1541 - 1614) raccolse e sviluppò.

 

I figli Marietta, Domenico e Marco, gli furono assistenti in vecchiaia.

 

 


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